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Sanità pubblica: storia e legislazione

16/02/2025 | Sanità

di Alessandro Claudio Giordano

Nell’ Italia dell’800, la salute era una questione di ordine pubblico. Si trattava di salvaguardare lo stato di salute e promuovere il miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche della collettività sulla base dei dati relativi alla frequenza e alle modalità di diffusione delle malattie individuando misure di protezione sanitaria riguardanti lo stato ambientale e il comportamento individuale e collettivo.

L’obiettivo era quello di scongiurare i pericoli per l’incolumità pubblica che derivavano dalla diffusione di malattie spesso epidemiche. La garanzia delle condizioni di salute della popolazione era un’attività di pubblico interesse non in considerazione di un diritto individuale dei cittadini, ma e come questione di ordine pubblico.

Nel 1861, il Regno d’Italia era un paese povero, arretrato, con meno della metà degli abitanti attuali: il 63% degli italiani era occupato nell’agricoltura, il 44% viveva in condizioni di povertà assoluta. L’aspettativa di vita alla nascita era di 29 anni e la mortalità infantile era alle stelle: 289 nati morti ogni mille nascite. La mortalità generale era di 30 decessi ogni mille abitanti.

L’Italia unita si presentava come un paese caratterizzato da un diffuso malessere sanitario. Il tasso di mortalità era elevato e drammatici i parametri della mortalità infantile, che colpiva un bambino su quattro nel primo anno di vita e ne lasciava in vita solo uno su due entro il quinto anno.

Le condizioni igieniche erano in forte, in ritardo le scienze mediche, eccessivo il carico di lavoro anche delle donne in gravidanza, elevata l’incidenza delle malattie infantili, delle infezioni gastrointestinali (18% delle morti nel primo anno), dell’apparato respiratorio, meningite, morbillo, scarlattina, scrofola e rachitismo.

Molti neonati abbandonati, dopo essere stati allattati per qualche settimana dalle balie interne al brefotrofio nel quale venivano lasciati, erano affidati a nutrici esterne, in genere contadine modestamente compensate. Il bambino svezzato di norma rimaneva con loro, o tornava in ospizio in attesa di un’altra famiglia.

La mortalità degli esposti era assai elevata, soprattutto fra i neonati, a causa di famiglie di origine con gravi carenze sanitarie (miseria, malattie), ma anche di carenze di assistenza: poche balie interne agli istituti, allattamento artificiale ancora carente e gravi mancanze igieniche nelle strutture di accoglienza.

La tubercolosi, che si presentava come prima causa di morte in senso assoluto, colpiva più le grandi città, il nord e le donne.

La coadiuvavano le insufficienze alimentari e la poca salubrità delle abitazioni, oltre alle pessime condizioni di lavoro. Assai diffuso era il vaiolo (nel 1870-72, 1220 morti nella sola Roma), ma solo dal 1888 divenne obbligatoria la vaccinazione di tutti i bambini entro il semestre successivo alla nascita.

Periodicamente colpiva il colera, con la punta massima nel 1854-56 quando interessò circa 2000 comuni e provocò 200-300.000 morti.

Nel 1865-68 furono toccati circa 2900 comuni con 160.000 morti. Nel 1884-85 14.000 morti (ma 7000 solo a Napoli e 3000 a Palermo).

Il Paese si presentava arretrato anche sotto il punto di vista dell’approvvigionamento idrico e delle infrastrutture igieniche: ancora nel 1885-86, 14.5 milioni di persone vivevano in comuni privi di fognatura.

Altre malattie diffuse erano la malaria e la pellagra. L’alcoolismo, ad esempio, colpì sempre più nel corso dell’800 soprattutto le classi popolari del Nord attraverso l’aumento del consumo di “superalcolici”. Così come erano molto diffusi problemi in ordine alla moderna psichiatria.

La prima legge “nazionale” fu la legge Rattazzi del 20 novembre 1859, in vigore negli Stati sardi ed estesa alla Lombardia. La tutela della salute pubblica era lasciata all’esecutivo (ministro dell’interno e in giù ai prefetti e ai sindaci). Vennero però creati organismi collettivi come il consiglio superiore di sanità e analoghi provinciali e circondariali che dovevano coadiuvare i vari livelli di responsabilità.

L’intervento pubblico era molto limitato. Le commissioni non funzionarono bene, ed in 4800 comuni con meno di 1000 abitanti non furono neppure attivate.

Così’ a seguito dell’unificazione d’Italia nel 1861 si ebbe la Legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia del 20 marzo 1865 n. 2248 che portò all’approvazione della prima “Legge sulla Sanità Pubblica” affidata al Ministro dell’interno e subordinatamente ai prefetti, ai sottoprefetti ed ai sindaci, assistiti dai vecchi consigli, senza giurisdizione sulle armate di terra e di mare.

I ventinove articoli  di cui si componeva,  prevedevano l’abrogazione di tutte le disposizioni adottate dai precedenti governi per servizi sanitari eccetto per il commercio e l’industria farmaceutica, per i quali erano prescritti i termini diversi in base ad  un regolamento che, approvato con R.D. 8 giugno 1865 n. 2322 in un testo di 138 articoli, resterà in vigore per oltre vent’anni.

Nel 1887 con  il D.M. 3 luglio 1887 verrà istituita la direzione di sanità pubblica con tre sezioni: per l’amministrazione dell’assistenza sanitaria, per la polizia sanitaria ed il suolo, per l’igiene pubblica e l’edilizia sanitaria. La legge sull’Igiene e la Sanità pubblica chiuse una volta per tutte la questione sul Codice sanitario che escludeva una ”ingerenza” dello Stato nelle questioni di sanità, e soprattutto nel “libero esercizio delle proprietà e delle forze individuali”. Ma visto che gli individui la salute, da soli, se la curavano poco e male, lo Stato decise di intervenire. Così Il nuovo testo sottolineava come l’Igiene pubblica dovesse essere “comandata”, gestita e tutelata dallo Stato. La legge fu rapidamente approvata il 22 dicembre 1888, grazie anche all’allarme sociale provocato dall’ epidemia di colera del 1885.

Nel 1890 si intervenne anche sulle Opere Pie, trasformandole con La legge del 17 luglio 1890 in istituzioni pubbliche di beneficenza. Erano oltre 22.000 istituzioni prevalentemente controllate dalla Chiesa, dotate di un patrimonio di più di due miliardi di lire, e con una rendita annua di poco inferiore ai 100 milioni di lire. Tra queste gli ospedali erano a un migliaio, e disponevano di quasi un terzo del patrimonio complessivo, con una rendita media annua stimata attorno alle 400.000 lire ciascuno, oggi poco meno di due milioni di euro  1.909.168,25).

Perché una legge sulle Opere pie? L’obiettivo era laicizzare la beneficenza ma non riuscì a  trasformare gli ospedali da luoghi di ricovero in centri di assistenza sanitaria.

Dopo la breve parentesi di un ispettorato generale creato con D.M. 14 gennaio 1900, si tornerà definitivamente all’assetto della direzione generale (D.M. 16 novembre 1902) fino al secondo dopoguerra.

Dopo un trentennio di battaglie culturali e parlamentari, la coscienza politica era matura per poter elaborare un codice dell’igiene e della sanità pubblica nel 1896, contenente la legge ed il regolamento riguardo temi importanti come le malattie infettive, l’igiene degli abitati e nelle scuole, gli uffici sanitari e i medici provinciali.

Il primo testo unico delle leggi sanitarie (ad opera di Giolitti), che raccoglieva e coordinava i principi  fondamentali, i regolamenti di esecuzione ed il corpo delle disposizioni emanate in date diverse e per settori della vita collettiva, fu approvato con il R.D. 1° agosto 1907 n. 636   a firma del governo Giolitti.

L’ordinamento dell’amministrazione e dell’assistenza sanitaria ripeteva però la piramide gerarchica tradizionale con al vertice il ministro dell’interno (con una direzione generale di sanità ed il consiglio superiore) e sotto la sua dipendenza i prefetti (con l’ufficio sanitario provinciale ed il consiglio Provinciale di sanità), i sottoprefetti e, ultimo polo del sistema, i sindaci (con il medico ufficiale sanitario).

L’assistenza, le opere di soccorso medico chirurgico ed ostetrico, era garantita dal personale di condotta appositamente stipendiato e la distribuzione dei medicinali è affidata alle farmacie oppure, ma per le sole prestazioni urgenti, è attuata per mezzo di un armadio farmaceutico custodito dal medico condotto, in modo che anche i centri abitati periferici o i nuclei sparsi nelle campagne non debbano soffrire di elementari deficienze terapeutiche , mentre alla vigilanza igienica attendono appositi laboratori comunali o consorziali.

Negli scali di approdo e nei porti vennero adibiti uffici di sanità marittima e lazzaretti ed a tutti i valichi e gli accessi di confine assegnati veterinari governativi che controllassero animali, carni e prodotti d’origine animale per assicurarne la salubrità.

Nota a margine il 18 febbraio 1883, su ispirazione di Luigi Luzzatti (1841-1927),venne stipulata una convenzione assicurativa volontaria contro gli infortuni sul lavoro tra il ministro dell’Agricoltura, industria e commercio, e i rappresentanti delle più importanti casse di risparmio e di credito italiane.

Approvata con legge n. 1473 dell’8 luglio 1883, come  Cassa nazionale infortuni, rappresentò il primo passo verso INAIL che nascerà in epoca fascista.

Con la legge n. 350 del 1898 fu la volta  della Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. Si trattava della prima a forma di assicurazione a carattere previdenziale, ma era del tutto volontaria. Fu solo tra le due guerre, nel 1919, che nacque la Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali (CNAS), rendendo la previdenza obbligatoria per tutti i lavoratori dipendenti.

Questo grosso modo è il quadro generale della sanità italiana tra la metà dell’ottocento ed i primi anni del novecento. Di qui partiremo per analisi e confronti di carattere statistico e storico in Piemonte e più specificatamente nella nostra realtà cuneese.

 

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