Un dramma italiano: l’analfabetismo funzionale. La condizione di chi sa materialmente leggere ma non sa rapportarsi con la complessità dei fenomeni culturali, sociali, politici e civili, avendo di essi una comprensione soltanto approssimativa, non è in grado di intervenire attivamente nella società perché costui non riesce a capire un articolo di giornale, riassumere un testo e men che meno ad appassionarsi a qualsivoglia forma culturale e artistica.
Le statistiche sull’analfabetismo funzionale si fanno somministrando questionari, valutando la correttezza delle risposte e riconducendo i punteggi ottenuti a sei livelli. I livelli da 1 a 2, i più bassi, denotano analfabetismo completo o analfabetismo funzionale; i livelli 4 e 5 denotano invece gradi diversi di padronanza del dominio indagato, e vi si trovano quelli “bravi” con la lingua o con i numeri.
L’Italia si colloca all’ultimo posto nella graduatoria delle competenze linguistiche e al penultimo posto in quella delle competenze numeriche. Catastrofico, anche se lentamente si riduce la percentuale di persone che si collocano ai livelli più bassi. Solo il 30% della popolazione raggiunge buoni livelli.
La percentuale di analfabeti funzionali sembra essere la stessa delle persone con licenza elementare, alfabete senza licenza elementare o analfabete. Circa il 28% degli italiani è quindi analfabeta funzionale.
Analfabeti funzionali si diventa, smettendo di praticare le competenze legate all’alfabetizzazione. Si diventa anche perché si sta al di fuori di contesti nei quali vi è la necessità di padroneggiare diversi alfabeti e perché non si reputa più un valore il perseguimento della conoscenza.
Laddove essere alfabetizzati significa – fa notare la Prof.ssa Claudia Secci, docente di pedagogia all’Università di Cagliari, in “Analfabetismo funzionale: definizioni e problematiche – Verso una prospettiva critica” – “avere una capacità di apprendimento e applicazione tale da potersi adeguare a una molteplicità sincronica e diacronica di contesti” cioè essere in grado di imparare a imparare, di disimparare e imparare di nuovo.
Beatrice Eleuteri, dell’Università La Sapienza, in “Analfabetismo funzionale: perché ci serve ancora saper leggere e scrivere?” ci rammenta una profonda verità, cioè che “Un paese che non può puntare sul capitale culturale, perché non ne riconosce il valore, è destinato a un futuro di ignoranza e di conseguente decrescita economica e competitiva. L’Italia non ha grandi risorse naturali dal punto di vista energetico (petrolio, gas) o dei materiali preziosi, ma ha un’immensa ricchezza ambientale e culturale che una politica dell’ignoranza rischia di distruggere irrimediabilmente. Serve un cambio di mentalità che porti gli adulti a riconoscere il valore primario dell’educazione alla cultura per i loro figli e della formazione continua per se stessi” e, più avanti, sottolinea come “Mettersi nell’ottica di un life long learning [cioè la formazione continua] significa (…) capire che l’educazione è un processo che riguarda l’essere umano per tutta la sua vita, in quanto lo sviluppo di un pensiero critico gli permetterà di scardinarsi continuamente da dogmi imposti o precostituiti, aiutandolo a essere cittadino del mondo e umano tra gli umani “ perché l’uomo, animale culturale, deriva molte delle conoscenze dall’interazione con i suoi simili e Ward Goodenough, citato dall’autrice, osserva che «La cultura di una società consiste in tutto ciò che si deve sapere o credere per operare in maniera accettabile ai suoi membri» Ma il contesto italiano non premia lo studio, non lo rende un vantaggio sociale.
Ridare non solo dignità ma prestigio e influenza sociale alla professione dell’insegnamento dovrebbe essere una delle priorità del Governo.
La figura del professore, che in virtù di qualità personali e preparazione è idoneo ad accedere “naturalmente” a un palcoscenico mediatico, non può agire a nostro avviso in modo paludato o di contro prendendo a modello lo stereotipo dell’influencer, che ne banalizza ruolo e presenza forzandolo a dare spettacolo anziché fare cultura
Il suo compito invece sembra più “dare le dritte” e stimolare ad aprire la mente e andare a cercare un libro in biblioteca, dove non deve più trovare n luogo polveroso ma un punto di interscambio e fertilizzazione creativa; andare a teatro, visitare un museo.
alcuni numeri…
Sono il 27,7% gli italiani inclusi nella definizione di analfabetismo funzionale. Ovvero coloro che si fermano al livello 1 di alfabetizzazione o addirittura al di sotto di esso. Vi è un 5,5% che comprende solo informazioni elementari contenuti su brevi testi scritti e non digitali ed espressi con un vocabolario di base (livello inferiore a 1) e un 22,2% che si limita alla comprensione di testi misti, cartacei e digitali, sempre brevi, con l’inserimento di informazioni personali. Ma non va oltre. Si tratta di competenze che, per intenderci, non consentono lo svolgimento di un lavoro che non sia meramente manuale.
Tra i Paesi Ocse solo in Turchia e in Cile la percentuale di quanti si ritrovano in una situazione di analfabetismo funzionale è superiore, arrivando rispettivamente al 45,7% e al 53,4%. Mentre la Spagna con il 27,5% raggiunge livelli analoghi a quelli italiani, anzi, con una percentuale di quanti si ritrovano al di sotto del livello 1, il 7,2%, superiore. Al di sopra della media Ocse gli altri Paesi in qualche modo mediterranei, come Israele, Grecia, Slovenia, Francia. In quest’ultimo caso gli analfabeti funzionali arrivano al 21,6%, contro una media del 18,9%. Leggermente meglio fanno Germania e Stati Uniti con il 17,5% ciascuno.