Da ormai troppo tempo la crisi ucraino russa tiene in scacco la comunità internazione. Molte le tesi che animano il dibattito, improbabile oggi definire un tempo, un momento che possa darci una dead line del confiltto così come improbabili gli effetti sulla comunità internazione. Ne ho parlato con il prof. Luigi Bonanate già ordinario di Relazioni Internazionali alla Univdrsità di Torino. Con lui abbiamo tracciato un quadro della situazione attenendoci strettamente ai fatti.
D. – Sulla base della sua esperienza di studioso la politica internazionale ha spostato il suo baricentro. Sono cambiati i riferimenti ed oggi gli equilibri si giocano forse più sulla supremazia economica che su quella politica…
R. – Politica ed economia sono strutturalmente intrecciate, ed è stato sempre così. L’una senza l’altra non può neppure reggersi. Di tempo in tempo cambiano le tecniche, gli strumenti, gli scenari, ma sono sempre state le concezioni del mondo a dominare la storia dell’umanità. In verità, la conquista e il possesso, il denaro, il potere non sono altro che le manifestazioni tangibili di una concezione del mondo. Mentre le concezioni classiche fanno riferimento al potere in termini di denaro, sesso, arroganza e violenza, bisognerebbe rendersi conto che tutte queste pratiche sono al servizio delle idee, ideologie, e punti di vista in quanto strumenti per conquistare il potere con il quale imporranno al (proprio) mondo i valori posseduti.
D. – Il 9 novembre 1989 Putin è nel palazzo del Kgb a Dresda, la stessa notte in cui un’enorme folla assalta l’edificio della Stasi. Cinquemila giovani cercano di distruggere tutti i documenti dell’archivio segreto Stasi: nei file c’erano i nomi di tutti, spioni e spiati. Putin esce dal palazzo del Kgb e va in quello della Stasi. “Ho 12 pallottole, una per me, il resto per voi”. Poi chiama il suo quartier generale per chiedere rinforzi, ma non li ottiene. “Aspettiamo ordini da Mosca”, dicono. Putin scende dodici scalini che lo separavano dall’ingresso dell’edificio, aspettando che qualcuno si faccia avanti. A sorpresa nessuno lancia né bottiglie, né pietre, anzi: i cinquemila iniziano a disperdersi, lentamente. L’edificio del Kgb è salvo. Questo è culto della personalità coraggio o incoscienza?
R. – Né culto della personalità né incoscienza! Dobbiamo muovere da un presupposto che troppo speso dimentichiamo: l’Ottantanove del XX secolo è il simbolo di una vera e propria rivoluzione. Così come la rivoluzione francese trasformò i sudditi in cittadini, analogamente la rivoluzione nostro Ottantanove ha liberato gli stati (la loro maggior parte, e i più avanzati, ricchi, sviluppati) dalla soggezione nei confronti delle due superpotenze, liberandoli dal dovere di obbedienza nei confronti di Usa e Urss. Ma in quella specie di deserto, o di vuoto ambientale formatosi dopo la caduta del secondo più importante e armato del mondo, nessuno seppe trovarsi una nuova limpida collocazione: la conseguenza fu il passaggio da un “ordine non amato ma solido” a una “anarchia piacevole ma debole”. In quei frangenti, i superstiti (coloro che facevano funzionare il sistema) finirono per “arrangiarsi”. Chi sfruttò la situazione semplicemente per lucrare, chi invece – come Vladimir Putin, che era in carriera da molti anni, nel cuore del sistema di sicurezza (ovvero, nei cosiddetti “servizi”) – colse abilmente la palla al balzo e progressivamente ma prudentemente iniziò la sua conquista di Mosca. Mentre i grandi funzionari e gli oligarchi si accontentavano delle briciole, Putin moltopiù scaltrto e prontamente, capì che un grande varco si apriva e fu l’unico a inserirvicisi. Grande abilità ma altrettanta (colpevole) stupidità. Finirà per passare alla storia come responsabile di una delle peggiori carneficine mai successe. E non si dimentichi che la quantità di avversari che nel corso della carriera ha fisicamente eliminato si può contare a decine e decine.
D. – Putin è davvero un uomo frustrato che cerca rivalse in Ucraina, oppure conosce i limiti della NATO e per questo ha accettato la sfida?
R. – Non credo che la risposta penda verso l’una o l’altra ipotesi. Nel personaggio in quanto tale c’è un po’ di tutto, con al centro un assoluto spregio di ogni e qualsiasi principio morale. Per un verso, la sua sete di potere è stata lasciata crescere, in Occidente, con indifferenza, e addirittura con lusinghe e compiacenza. Per l’altro, per sfilacciata che oggi sia, la NATO dispone comunque di una potenza di fuoco (intendo, metaforicamente, “saper fare la guerra”) tale da poter oggi come oggi sconfiggere qualsiasi avversario – e ciò vale anche, ancora, posto che ne abbia la volontà politica, con riguardo alla Cina. E’ soltanto appoggiandosi su quest’ultimo dubbio che Putin ha potuto realizzare tutti i disastri che ha fatto. Ma non si rende conto, in più, che la potenza russa non è quella dei tempi dell’Unione Sovietica. Il paese ha una popolazione limitata, un PIL bassissimo, una industrializzazione obsoleta, uno sviluppo socio-culturale arretrato, un regime autoritario repressivo e brutale…
D. – Quali sono le cause della guerra? C’è il tentativo di ripristinare l’orgoglio russo dopo il crollo dell’unione delle Repubbliche Socialiste sovietiche oppure come dicono alcuni è la guerra delle materie prime, in particolare del litio che oggi è considerato l’oro bianco e che si trova proprio nei territori che la Russia sta cercando di conquistare in questo momento.
R. – Tutto conta e tutto va messo in bilancio, ma le risorse della scienza e della tecnologia possono scombinare i calcoli di qualsiasi potenza. Anche il Kazakistan, ad esempio, è uno straordinario deposito di tutte le materie prime più importanti e preziose e quindi desiderabili da tutto il mondo… Chi e come le saprà utilizzare in futuro (e meglio)? E non dimentichiamo mai che non sono gli strumenti a far vincere le guerre, ma le capacità di organizzazione di una società e di una sua “avanguardia” (giovani, forti, motivati) in grado di combattere per un’idea. I capi nazisti – meglio, quelle moltitudini di giovani che inneggiavano a Hitler nelle sua adunate di massa – riuscirono, nei primi anni della loro folle e fallimentare avanzata verso il potere mondiale, fino alla battaglia di Stalingrado, a galvanizzarli e a entusiasmarli. Non fu scarsità di armi e di strategie a perderli, si trattò piuttosto dell’inconsistenza e della mostruosità del loro progetto di vita.
D. – In molti hanno fatto rilevare che l’esercito russo diremmo sia tecnicamente una generazione indietro a quelli occidentali, di qui l’utilizzo delle bombe ed una strategia inadatta per la guerra moderna. Non c’erano altre opzioni di attacco?
R. – Se vuoi conquistare un territorio non c’è altro che occuparlo. Se le forze armate russe si sono rivelate debolissime e fragili non è perché non ci fossero armi abbastanza, ma perché non c’era la benché minima adesione di massa ai fini previsti. Russia e Ucraina hanno aspetti di comunanza che avrebbero potuto benissimo trasformarle in una federazione o in una qualche alleanza. Non è impossibile conquistare e occupare terre altrui, ma è impossibile che chi vi ci viveva si rassegni: la terra è di chi la abita e la vive.
D. – A più di due anni dallo scoppio del conflitto, i flussi di gas russo verso l’Europa sono crollati. La rappresaglia da parte di Mosca al sostegno fornito dall’occidente all’Ucraina è passata per la riduzione e la sospensione delle forniture di gas, con l’aumento dei prezzi sui mercati energetici di tutto il mondo. A livello europeo manca una strategia comune? L’Italia si è rivolta a Norvegia e Algeria, anche ci sta aiutando di più il Gas naturale liquefatto (GNL), di provenienza statunitense e qatariota.
R. – Le critiche alla Russia non dovranno nascondere quelle al mondo occidentale, ignavo e ottuso, che ha assistito alla “resistibile” ascesa di Putin che avrebbe potuto, quanto meno, venire fermata nel 2014. L’Occidente si è preoccupato per i suoi approvvigionamenti, ma quando è corso ai ripari se l’è cavata abbastanza bene (anche se favorendo immensi guadagni ad alcune grandi e dominanti imprese): ciò significa che l’analisi politica della situazione era stata errata se non addirittura inesistente da entrambe le parti. Ha sbagliato la Russia infilandosi nel vicolo cieco di un falso nazionalismo; ha sbagliato l’Occidente credendo che, prima o poi, Putin si sarebbe “accontentato”. Ma se capita che una bomba carica e pesante ti scappi di mano prima o poi, e “scoppi”, anche addosso a chi credeva di poterla utilizzare grazie a semplici minacce, il danno è irreparabile. Il gioco della dissuasione è una pratica terribilmente complicata e non si direbbe che ci sia in giro uno statista in grado di brandirla senza farsi del male.
D. – L’Italia partecipa indirettamente alla guerra con le forniture all’esercito ucraino, pare che abbia buone chances per essere parte in causa di una futura ricostruzione dell’Ucraina. Si constata però sempre un basso profilo, come se l’ordine di scuderia fosse “mantenersi un gruppo”. Mentre Gran Bretagna e Germania ad esempio presidiano per parte europea la macchina organizzativa degli aiuti. Abbiamo davvero un ruolo da comprimari?
R. – Personalmente, sono pochissimo sensibile al concetto di prestigio internazionale – sia dell’Italia sia di qualsiasi altro stato. Lo stato nasce per servire e coordinare le condizioni di vita di tutti coloro che se ne trovano all’interno, casualmente, e deve adattarsi alla situazione oggettiva. La politica dunque dovrebbe occuparsi di tutto ciò e non di mostrare i muscoli o addirittura di calarli sul muso altrui! Per intenderci – anche se so di essere scandaloso – perché dovrei sentimi personalmente fiero e orgoglioso di fronte a quella straordinaria macchina atletica che è stata la nuotatrice Federica Pellegrini, e restare freddamente indifferente di fronte alla coppa del mondo di sci vinta dall’americana Mikaela Shiffrin? E’ dolce e piacevole contemplare le straordinarie capacità di entrambe, ma non le ruberei mai loro per donarle a una qualsiasi altra atleta, purché italiana.
Gli stati dovrebbero preoccuparsi del benessere dei propri cittadini, di farli vivere democraticamente, di favorire punti di contatto e collaborazione con gli stati vicini, e insieme a questi di contribuire alla pace nel mondo. Chi mai potrà convincerci che morire e uccidere è meglio di vivere e collaborare?