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Eskimo

3/01/2025 | Cantami una canzone '70

di Alessandro Claudio Giordano

Questa domenica in Settembre non sarebbe pesata così,/l’ estate finiva più “nature” vent’anni fa o giù di lì…Con l’ incoscienza dentro al basso ventre e alcuni audaci, in tasca “l’Unità”,/la paghi tutta, e a prezzi d’ inflazione, quella che chiaman la maturità…

Ma che cos’è l’eskimo? Tecnicamente solo un cappotto il quale, durante gli anni ’60, costava davvero poco (Portavo allora un eskimo innocente / Dettato solo dalla povertà) che, come ricorda Guccini “.. Non lo presi come divisa, ma come un cappotto che costava poco. Non era politicizzato, non aveva significati ideologici” (Non era la rivolta permanente). Nella realtà del cantautore, però, l’eskimo è la costante che unisce i punti di una storia, quella con la sua prima moglie, Roberta Baccilieri, alla quale aveva già dedicato anni prima Vedi cara (1970), raccontata attraverso i moti rivoluzionari del ’68 (scoppiava finalmente la rivolta), dagli occhi di chi quei movimenti li ricorda con un po’ di fierezza e un po’ di nostalgia.

Eskimo quindi è soprattutto una canzone d’amore. La relazione con Roberta e la loro distanza sociale, essendo lei una benestante da paletò, un cappotto alla moda (e mi pesava quel tuo paletò), e lui con quel suo eskimo sempre addosso, simbolo di una classe non abbiente, ma ricco di quella forza intellettuale che si sarebbe poi trasformata nella sua opera di cantautorato (Ma avevo la rivolta fra le dita / dei soldi in tasca niente e tu lo sai). Una differenza tra i due amanti così grande, e non solo a livello sociale (Portavo una coscienza immacolata / che tu tendevi a uccidere però), che lo stesso Guccini si domanda il perché della sua esistenza (Perché mi amavi non l’ho mai capito / così diverso da quei tuoi cliché /perché fra i tanti, bella, che hai colpito / ti sei gettata addosso proprio a me).

Guccini scrive questo brano per omaggiare e non scordare quell’istante di vita chiamato gioventù, con tutti i propri attimi di irrazionalità, attraverso una dedica (ed io ti canterò questa canzone / uguale a tante che già ti cantai) ed un saluto al sapore di un addio già annunciato (ignorala come hai ignorato le altre / e poi saran le ultime oramai). Un po’ come in un lungo cammino verso un’immagine collettiva di esperienze, una vecchia polaroid la quale riesuma un passato non troppo lontano, fatto di sentimenti, sesso, ideali, illusioni e cose andate, ritrovata nel cassetto in una domenica di Settembre, la quale terminerà (E questa domenica in Settembre / se ne sta lentamente per finire / come le tante via, distrattamente / a cercare di fare o di capire) con la scrittura di questo testo.

A chi nel tempo ha spesso avvicinato Guccini al momento sessantottino lui recentemente ha ricordato nel ’68 “…Non leggevo Marx, mi sono formato con Borges e gli autori americani come Hemingway, Kerouac e Faulkner. Io il Sessantotto l’ho fatto nel Sessantasette, poi basta”.

Ed allora Guccini e le sue canzoni sono un po’ come  un poster di Che Guevara: ognuno ci vede quel gli pare. Ed è del resto assolutamente vero perché molti tra coloro che ai tempi della “bomba proletaria”, nei concerti, “alzavano il pugno chiuso, da tempo si sono accomodati da altre parti e non più a sinistra. L’eskimo è innocente, la Locomotiva è metafisica. E Guccini è sempre lì.

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