Si lamenta l’impresario che il teatro più non va/ma non sa rendere vario lo spettacolo che dà
“ah, la crisi! ”Ma cos’è questa crisi?
Ma cos’è questa crisi? Metta in scena un buon autore/faccia agire un grande attore e vedrà…
che la crisi passerà! Un riccone avaro e vecchio dice: ahimé così non và
vedo nero nello specchio chissà come finirà…
Ci sono momenti in cui la riflessione deve prevalere sulla polemica e dare indicazioni di massima, alcune sottaciute ed altre no, a chi vive la quotidianità cercando di capire dove andrà il paese. Questa era in estrema sintesi l’esigenza di Rodolfo De Angelis quando scrisse ed incise nel 1933 “Ma. cos’è questa crisi?”, un brano leggero ed apprezzabile tutt’oggi nonostante o proprio grazie a quella patina d’altri tempi. La straordinaria modernità del testo che sta nell’affrontare con buonsenso spicciolo i problemi veri o presunti del moderno capitalismo, trattati volutamente da Angelis con goliardica positività miscelata con momenti di finta superficialità, sfottò e critica sociale.
Il brano pone una domanda a cui era difficile rispondere in un periodo di così tanto sacrificio per gli italiani. Leggendone il testo ci si potrebbe chiedere se l’autore si sta prendendosi gioco del Duce o lo sta incensando? Quella vocetta nasale e le pernacchiette iniziali ci fanno supporre di si. Detto questo dovremmo però aggiungere che il regime lasciò fare perché la canzone divenne un successo alla radio e sui grammofoni di casa.
E nello stesso anno, De Angeli scrisse un altro brano, ancora più sfacciato e coraggioso, “Una volta… non c’era Mussolini”, che fece tremare i polsi ai fascisti e allo stesso Duce: allineamento o sarcasmo? Si sarebbe meritato una “maschia” stretta di mano o una manganellata? L’intenzione dell’autore era comunque quella di voler raggiungere il risultato di incertezza, confusione, sospetto, tra ironia e deferenza. In effetti, quando ancora “non c’era Mussolini”, il Parlamento italiano era una sorta di campo di battaglia con governi bisticciosi e instabili e con il partito fascista alle porte. Come interpretare un testo così?
Questo brano è sicuramente un esempio di quella forma di satira di cui oggi s’è quasi persa la memoria
Ed è un vero peccato perché quel tipo di musica che accompagnava una garbata satira quasi sempre velata dall’ironia, esprimeva il disagio sociale pur mantenendo un educato distacco. I testi erano si decisamente trasgressivi ma venivano incontro al gusto popolare, ed infatti poi si canticchiavano per strada.
Oggi niente di tutto questo, media e socials hanno evidentemente altri obiettivi. Aver mutuato nel nostro modo di vivere i paradigmi che ci propongono quotidianamente ha impoverito la nostra creatività, la nostra fantasia, omologandoci. e questo è un peccato imperdonabile.