L’8 settembre 1848 rappresenta una data importante per il Risorgimento italiano. In quella data Messina veniva bombardata dalla flotta borbonica. La ragioni? La città aveva mosso una protesta indipendentista che re Ferdinando II decise di reprimere duramente e per quel bombardamento passerà alla storia come “il re bomba”.
Contemporaneamente centinaia di chilometri più a nord, alla cappella della Madonna del Popolo di Castagnito si sta celebrando una festa ed i partecipanti diremmo siano tutti piuttosto “alticci” così come ebbero a rilevare i giudici qualche tempo dopo in fase di processo “…che tutti ivi si trovarono ancora ad ora tarda di quella notte colla mente al certo riscaldata dal vino bevuto più del solito in occasione di festa”. Fra i tanti partecipanti ci sono cinque giovani di Vezza, Michele Novello, di ventiquattro anni, Michele Castelli, di diciannove anni, Giovanni Alloj, di ventisette anni, Domenico Gaia, di ventinove anni e Giacinto Rosso detto Baròt, di ventiquattro anni. A loro si era unito Biagio Pezzuti, di quarantatre anni. Così la cronaca raccontava che, a margine dei festeggiamenti, verso le dieci della sera ed ultimo bicchiere Giovanni Alloj e Domenico Gaia, avevano discusso animatamente per poi litigare con alcune persone del posto. Volarono insulti: ed è facile immaginare che quelli di Castagnito fossero ancor più su di giri e, e disposti a difendere il loro territorio, dagli invasori di Vezza. Vennero chiamati i carabinieri che accorsero in numero di due: Luigi Bergont e Francesco Mancardi, cercando di sedare la lite ma senza grande successo. Anzi i toni perentori utilizzati acquirono il confronto al quale si erano, nel frattempo, aggiunti altri amici di Vezza.
Alle minacce si passò alle vie di fatto, ed i militari vennero percossi con pugni, calci, bastonate. Dei due Bergont ebbe la peggio. Aggredito con maggiore violenza, nella caduta riportò infatti lesioni, al ginocchio, alla mascella ed una ferita alla nuca. Ma questo non gli impedì di rialzarsi, sia pure con i pantaloni strappati al ginocchio. Anche il collega Mancardi si rialzò. I due carabinieri reagirono arrestarono i due più immediati assalitori, Novello e Castelli. Novello aveva aggredito il carabiniere Mancardi, mentre Castelli il Bergont In seguito vennero poi identificati ed arrestati altri partecipanti alla rissa: Biagio Pezzuti, che sul luogo della zuffa aveva perduto una scarpa, e Giovanni Alloj che con Domenico Gaia era stato la causa della zuffa. Gaia e Giacinto Rosso restavano latitanti. Tutti gli arrestati vennero tradotti nelle carceri di Torino.
Successivamente il carabiniere Bergont venne sottoposto a visita medica che il perito refertò così: “…si accerta una contusione con lacerazione della pelle sulla sommità del ginocchio, in corrispondenza della lacerazione dei pantaloni; una scalfittura dalla tempia alla mascella ed una ferita lacero-contusa alla nuca, penetrante nella pelle, che potrebbe essere stata provocata da un bastone o una pietra ma anche, scrive il perito, dall’urto contro un sasso spigoloso al momento della caduta. Le ferite al ginocchio ed al capo sono guaribili in sei giorni e quella alla faccia in tre giorni”.
Il processo si svolse davanti alla Corte di Appello di Torino, nel luglio 1849. Presidente era il conte e cavaliere Giovanni Battista Schiari. La situazione politica era profondamente cambiata: una nuova campagna di guerra contro l’Austria e, dopo la sconfitta di Novara, il re Carlo Alberto aveva abdicato in favore del figlio. La sentenza così sarebbe stata emessa in nome del nuovo re Vittorio Emanuele II. I quattro imputati Michele Novello, Michele Castelli, Giovanni Alloj, Biagio Pezzuti, tutti nati e residenti a Vezza, vennero accusati di rivolta e maltrattamenti ai carabinieri. Al processo non emersero responsabilità precise ed in dibattimento non si riuscì a chiarire quale degli imputati, che avevano tutti partecipato alla zuffa, sia passato a vie di fatto contro Bergont. Nessuno dei testimoni e nemmeno i carabinieri, interrogati in aula, furono in grado di indicare con precisione chi avesse colpito Bergont. Gli accusati definiti responsabili del reato loro addebitato, ma soltanto come complici. Ebbero modo di beneficiare delle circostanze attenuanti, perché avevano «la mente riscaldata dal vino». Per Castelli venne considerata come attenuante la sua età, minore degli anni venti. La Corte d’Appello li dichiarò quindi colpevoli, considerandoli come complici e sufficientemente puniti col carcere preventivo che avevano già scontato. Così la pena trasformata in parte in indennizzo al carabiniere Bergont ed al pagamento delle spese processuali. “…Ne viene così ordinato il rilascio dal carcere, se non sono detenuti per altra causa.” Questa fu la sentenza del 31 luglio 1849. Restò ancora da definire la posizione degli altri imputati, latitanti al momento di quella sentenza. Giacinto Rosso decise di costituirsi spontaneamente in carcere, dopo avere raccolto consistenti attestazioni delle sue buone qualità morali. Domenico Gaia venne invece arrestato. Tutti e due furono a loro volta detenuti a Torino e processati nel novembre 1849, per le stesse accuse addebitate ai loro compaesani, rivolta e maltrattamenti.
La Corte di Appello riunitasi e sempre presieduta dal conte Schiari. Anche questa volta dal dibattimento non rilevò precise responsabilità, anzi si alleggerì molto la posizione di Rosso, anche perché il dibattimento non fornì sufficienti riscontri della sua colpevolezza. Ed a suo carico emerse solo una la testimonianza di un suo vicino di casa, che affermava che un fratello di Giacinto Rosso, il giorno dopo la rivolta, gli ha detto che Giacinto era stato percosso e perciò se ne stava ancora a letto, voce suffragata dalle dicerie di paese di Vezza nell’immediato dopo rissa. Secondo i giudici, questi addebiti erano attenuati dal fatto che Rosso si era spontaneamente costituito in carcere e che erano comunque pervenute favorevoli attestazioni sulla sua moralità. Quanto a Gaia, la maggior parte dei testimoni era stata concorde nell’affermare che è stato lui a causare lite e successiva rissa.
Anche nei confronti di Gaia si erano tenuti in conto i criteri adottati nella sentenza del 31 luglio 1849: Gaia, come gli altri accusati aveva la “mente alterata dal vino”. Giacinto Rosso venne dichiarato “…non colpevole del reato di cui è accusato e assolto senza costo di spesa. Domenico Gaia è colpevole ma è stato punito in modo sufficiente col carcere preventivo già scontato; insieme agli altri condannati con sentenza del 31 luglio 1849, dovrà indennizzare il carabiniere Bergont. I due devono essere rilasciati se non sono detenuti per altra causa”. Questa fu la sentenza che il Presidente Schiari lesse all’udienza pubblica del 13 novembre 1849.
Nota a margine della vicenda la causa delle risse in un’epoca in cui le occasioni di svago erano poche e ridotte alle feste paesane. Momenti questi per lo più utili a per sfogare la rabbia e la delusione per vite povere ed ordinarie senza importanti progetti….