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Intervista immaginaria a Faustina Roero di Cortanze

13/10/2025 | Interviste con IA

di Alessandro Claudio Giordano

C’è una donna che trascorre molto della sua quotidianità a corte. Accompagnandosi alla famiglia reale sabauda. Una donna solo all’ apparenza fragile: Faustina Roero di Cortanze, nata Frichignono di Castellengo, dama brillante e ironica, giornalista ante litteram protagonista indiscussa della corte sabauda tra le nozze reali del 1817 e il 1855, custoditi nel castello di Racconigi. La sua voce è raccolta nelle pagine del diario che va dal 1817 al 1871, e racconta mezzo secolo di storie personali e politiche, fra i salotti e i drammi del Risorgimento. ho provato a dare traccia della sua esperienza nella nostra consueta intervista (im)possibile…

D. – Potrebbe raccontarci qualcosa della sua famiglia, in particolare di suo padre Giovanni Cesare Frichignono di Castellengo e di sua madre Luisa Arborio di Gattinara e di Breme?
R. – Certamente. Parlando di mio padre, Giovanni Cesare Frichignono di Castellengo, lo ricordo come un uomo dalle rare qualità civiche e morali. Fu sindaco di Torino, e credo avesse una visione aperta al progresso. In casa, però, era soprattutto presenza rassicurante e figura di riferimento, capace di trasmettermi il rispetto per gli altri e il senso del dovere.
Mia madre, Luisa Arborio di Gattinara e di Breme, era donna di grande sensibilità e raffinata istruzione. Mi ha insegnato il valore della gentilezza e della resilienza. In lei ho sempre visto la capacità di conciliare le tradizioni di famiglia con un pensiero vivace e moderno.

D. – Faustina, come ricorda il suo arrivo alla corte sabauda?
R. – Fu un periodo di grande fermento. Ero giovane, appena sposata con Vittorio Roero di Cortanze. Nessuno avrebbe potuto prepararmi alle luci e alle ombre che avrei trovato: salotti sfarzosi, ma anche gelosie e rivalità, sorrisi e sussurri dietro ogni ventaglio.

D: La sua intelligenza e il suo spirito erano noti: chi ricorda tra i tanti personaggi illustri che la cercavano?
R. – Oh, le conversazioni con Champollion sulla scrittura degli antichi, le battute argute di Metternich, i versi sussurrati da Lamartine… Ma anche Balzac e i viceré di Milano. Erano incontri dove la mente si accendeva, ma non mancavano piccoli duelli di ingegno. La duchessa di Parma, ad esempio, aveva un modo tutto suo di esprimere simpatia e invidia insieme.

D: Nei suoi diari emergono spesso gelosie e scaramucce. Che ruolo giocavano queste dinamiche a corte?
Erano il pane quotidiano della nobiltà. Vi erano cortigiani e cortigiane pronti a contendersi l’attenzione del re, della regina, o della dama di turno. Le gelosie erano tanto pericolose quanto i favori: bastava un sorriso malamente interpretato per scatenare giorni di pettegolezzi. Ho imparato a destreggiarmi, a volte ironicamente, tra queste insidie.

D: Nel 1831 aveva accettato la carica di dama d’onore addetta alle beneficenze. Che significato ebbe per lei questa scelta?
R. – Fu una decisione di orgoglio e di affezione. Non volevo competere con la favorita del re e, soprattutto, desideravo restare accanto a Maria Teresa, regina sfortunata e spesso sola, per sostenerla e proteggerla. Le beneficenze erano un modo per agire, per fare qualcosa di concreto mentre la corte restava avvolta nei suoi intrighi.

D: La sua amicizia con Maria Teresa sembra centrale nelle sue memorie. Che donna era la regina?
Una donna delicata, profondamente infelice, spesso vittima di decisioni altrui. La mia dedizione verso di lei era autentica: la sostenevo nei momenti difficili, la consolavo quando il peso della corona le appariva insostenibile. La nostra amicizia era fatta di silenzi compresi e di parole non dette.

D: Dai suoi diari traspare anche il dolore per le vicende dei suoi figli. Quanto ha inciso questo sulle sue scelte?
Ogni madre porta con sé gli insuccessi dei figli come spine nel cuore. Le loro difficoltà sono state per me fonte di dolore profondo, più amaro di tutti gli intrighi di corte. Nel diario questo dolore è un filo sotterraneo che attraversa tutte le pagine.

D: Dopo tanti anni tra corti, salotti e manovre politiche, cosa le resta di quel mondo?
R. – Mi resta il sapore dolceamaro del tempo vissuto: le amicizie vere, rare e preziose; le delusioni, che insegnano più dei trionfi. E mi resta il diario, testimone segreto di tutto ciò che accadde, tra la Restaurazione e la nascita di un nuovo regno, tra le luci delle feste e le ombre dei corridoi.

D. – Di Maria Adelaide, nata Asburgo-Lorena lei scrive: “la dolcezza del suo sguardo e quella del suo sorriso erano inesprimibili, seduceva con la sua presenza, riusciva con una parola, con uno sguardo” e di Rosa Vercellana, la “Bela Rosin“amava suo marito di un affetto pieno di indulgenza; secondo me lo amava più come un fratello che come marito”…
R. – Di Maria Adelaide mi rimane nel ricordo quella dolcezza ineffabile dello sguardo e del sorriso, qualità rare che seducevano chiunque avesse la ventura di avvicinarla. Ella possedeva il dono delicato di aprire un varco nell’animo altrui con una sola parola, con un semplice battito di ciglia. Tuttavia, nell’osservare il sentimento che legava la sovrana al suo sposo, posso affermare che fu affetto intriso di profonda indulgenza, in cui la tenerezza sfumava più nella devozione di una sorella affettuosa che nell’ardore incandescente di una sposa. Era l’amore che sa compatire, comprendere, sostenere, non quello che arde e consuma.
Diverso fu il legame di Rosa Vercellana, la “Bela Rosin”, Contessa di Mirafiori e di Fontanafredda. Certamente in lei, la passione vibrava di vita propria, una dedizione che superava le convenzioni e sfidava i sussurri delle corti. Il sentimento di Rosa per il suo compagno era fatto di slancio e sacrificio, di complicità tenera e di una forza che sapeva farsi dolce carezza e insieme roccia silenziosa, peccato per lei non abbia mai avuto vita facile a corte

D. – Annotare, cogliere il momento, il passaggio importante anche di una all’apparenza semplice chiacchierata. Quali sono i suoi più interessanti ricordi?
R. – Scrivere mi è sempre stato rifugio e specchio, e non posso che tornare, con quella punta d’inquietudine che accompagna la sincerità, ai giorni segnati dal confronto con spiriti vivi e spesso contraddittori. Ricordo bene quel 6 agosto 1836, quando incontrai Balzac: certo non colpiva per l’aspetto, ma il suo sguardo – così penetrante, così febbrile – portava in sé la promessa di conversazioni profonde. Discutemmo dell’amore, argomento che sembra inesauribile e che, per bocca sua, assumeva una gravità quasi letteraria. Mi disse, con quel suo modo che sa di sentenza: “Faustina è l’unica donna spirituale e colta d’Italia”. Le sue parole mi lasciarono, lo confesso, tra lusingata e perplessa; quanta verità, e quanta enfasi vi era?
Non fu, però, solo Balzac a mettere alla prova la mia capacità di resistere alle tempeste dell’animo. Il braccio di ferro con Maria Nicolis di Robilant, estenuante eppure inevitabile, mi costrinse a una fermezza che non pensavo di possedere. In quei giorni, ho annotato spesso la fatica del confronto, la tensione tra il cedere e il mantenersi salda. Eppure, non ho vacillato un attimo, sorretta da una volontà che, a posteriori, mi pare quasi estranea. Forse è questa la vera forza: restare quando sarebbe più semplice fuggire.
Quanto a Carlo Felice, il mio giudizio è rimasto invariato col tempo. Era uomo che bisognava osservare da molta lontananza, per cogliere la nobiltà e la misura delle sue virtù; oppure da molto vicino, per apprezzare certe qualità che sfuggivano allo sguardo distratto. Ma tutto ciò che stava nel mezzo – la distanza consueta, il contatto quotidiano – metteva in risalto solo i suoi difetti, quasi che la sua natura fosse fatta di chiaroscuri più che di luce piena. La storia degli uomini e delle donne, mi dico ora, è spesso questione di prospettive e di coraggio.
E così, tra incontri intensi, battaglie silenziose e sguardi attenti, continuo a cercare un senso nelle trame del vivere. Scrivere aiuta: la carta non giudica, ma custodisce.

D. -Faustina, nei suoi resoconti traspare una straordinaria acutezza nell’osservare non solo i grandi avvenimenti e i protagonisti della storia, ma anche le passioni, i difetti e le virtù del genere umano. Guardando ai drammi e ai trionfi che ha vissuto in prima persona — la caduta di Napoleone, l’avvento diffidente di Carlo Felice, la convivenza difficile tra onesti e raccomandati — cosa pensa oggi della natura umana e della società che la circonda? Ha mai intravisto un riscatto, o è condannata a ripetersi nei suoi errori?
R. – Ah, se queste stanze potessero parlare… Ho visto passare generazioni, tempeste e silenzi, e in ognuno di questi volti, quella d’una umanità inquieta, spesso smarrita fra il desiderio di grandezza e la piccolezza dei propri moti d’animo. Ho osservato, talvolta spaventata come la gloria possa dissolversi nell’oblio — vedi Bonaparte, che da sole d’Europa finisce esiliato, e di cui la morte giunge alle orecchie dei potenti come un’eco stanca e tardiva.
Eppure, ciò che più mi ha colpito non sono stati i destini dei sovrani, ma la giostra di sentimenti che anima ogni animo: innocenti confusi tra i colpevoli, colpevoli premiati e adulati, la virtù che arrossisce nascosta, il vizio che si pavoneggia senza ritegno. Ho imparato, forse con amarezza, che la società si compiace delle sue maschere: la frode qui, l’ipocrisia là, mentre chi è onesto lotta nell’ombra.
Ma mi chiede se vedo riscatto? Nella memoria, sì: nel ricordo di chi, pur sapendo di non poter cambiare il corso delle cose, sceglie di agire con rettitudine, di conservare la dignità anche nella tempesta. Non sarà forse abbastanza per riscattare il mondo, ma è sufficiente a riscattare un’anima. E a chi osserva, resta il dovere di testimoniare, affinché il tempo non dissolva la verità nelle nebbie della convenienza.

D. – Ultima battuta…I salotti delle corti di oggi sono molto diverse da quelle che Lei frequentava?
R. – Assolutamente no. Sono cambiati i termini della proposta ma restano vetrine dove spesso ciò che per i più è l’abituale ha poca importanza o non interessa. Gli errori invece umanizzano e livellano. Un re nel letto di un’attricetta oggi rende tutto più normale…..come allora d’altronde.

 

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