Il mago di Oz (1939) vede alla regia nomi come Victor Fleming, George Cukor, King Vidor: figure di primissimo piano della “grande Hollywood”. Tratto dal romanzo omonimo di Frank Baum, tratta delle avventure della piccola Dorothy e del suo cagnolino Toto in un mondo fantastico in cui sono stati trasportati da un ciclone. In compagnia di tre simpatici amici, il leone, lo spaventapasseri e l’omino di ferro, Dorothy sconfiggerà una brutta strega e conoscerà la verità sul misterioso mago di Oz, prima di scoprire che si è trattato solo di un sogno e che la vera felicità sta nel cortile dietro casa.
Una curiosità prima di entrare nel merito del film: i fratelli Porcaro battezzarono il loro supergruppo “Toto” pensando al Mago di Oz e al significato latino della parola, volendosi porre con atteggiamento aperto nei confronti di qualsiasi stile musicale a partire dal Rock. Si dice che anche il nome del complesso jazz-funk inglese Shakatak derivi da una contrazione di “Shake Attack”, un incantesimo della Malvagia Strega dell’Ovest.
Torniamo al film. Nel 1937, Walt Disney realizza con enorme successo il film “Biancaneve e i sette nani” tratto dall’omonima fiaba. Viene individuato il libro di Frank Baum e viene incaricato Richard Thorpe della regia, ma questi viene sostituito quasi subito da George Cukor a cui succede Victor Fleming che ne dirige una gran parte. Lascia il progetto per andare a dirigere Via Col Vento. Nel frattempo, la regia passa a King Vidor che realizza anche la sequenza in cui Judy Garland canta “Over the Rainbow”. Questo dice molto dell’atteggiamento con il quale gli studios hollywoodiani trattavano il regista: un esecutore di ordini che arrivano dall’alto, con scarsa o nulla autonomia creativa.
Il Mago di Oz rappresenta un ibrido tra musical, fantasy e fantastico, e se da un lato vuole ispirare speranza dall’altro c’è un alone di malinconia, come è proprio di ogni storia incentrata sulla difficile ricerca di un proprio posto nel mondo.
Il Mago di Oz tratta in forma di fiaba di due temi: il sogno di andare via ed esplorare il mondo conquistando l’autonomia e l’importanza delle radici. Racconto di crescita ed apprendimento del valore dell’intelligenza (lo Spaventapasseri), del coraggio (il Leone), dei sentimenti (l’uomo di latta). Dorothy trova nel sogno la consapevolezza di poter essere autonoma e la porta nella realtà.
Nel libro, l’esperienza di Dorothy è reale: davvero, cioè, la bambina lascia la propria casa, approda nella terra di Oz e poi ritorna alla propria casa che è stata ricostruita dopo essere stata distrutta da un ciclone, lo stesso che l’ha scaraventata nel mondo di Oz.
Nel film, Dorothy cerca di fuggire da casa perché si sente incompresa, non apprezzata, e che non rappresenta un posto sicuro per Toto. Cerca un posto, al di là dell’arcobaleno, dove poter essere felice, provando poi nostalgia per casa. Ma il film rappresenta questa avventura come un sogno e non come un evento reale. Il mondo di Oz è terra di magia, mistero e streghe.
Nel racconto del libro, Dorothy è un personaggio forte, coraggioso, intelligente e altruista. Affronta pericoli mortali per una bambina e non teme il Mago di Oz che, in realtà, è un mistificatore.
Nella narrazione del film, Dorothy è invece spesso terrorizzata dalla Malvagia Strega dell’Ovest, di cui la bambina rappresenta il nemico poiché il ciclone che ha distrutto la sua casa nel Kansas l’ha scaraventato sulla casa della Malvagia Strega dell’Est. La Malvagia Strega dell’Ovest riesce a catturare la bambina, che attende disperata l’arrivo dei suoi compagni di avventura affinché la liberino. Basta però un po’ d’acqua per scioglierne la malvagità.
La storia del Mago di Oz è un viaggio dell’eroe coi suoi tipici passaggi: il mondo ordinario, la chiamata all’avventura, l’incontro con il mentore (la strega buona), gli alleati (i suoi tre bizzarri compagni) e il nemico (la Malvagia Strega dell’Ovest). Momento emozionante è l’esecuzione di Over the Rainbow. Judy Garland, che interpreta Dorothy, canta la frustrazione di chi sente di essere la persona sbagliata nel posto sbagliato e l’incrollabile speranza che un evento imprevedibile possa arrivare e sconvolgere improvvisamente la nostra vita.
Il critico Emanuel Levy ha sostenuto che l’influenza culturale del Mago di Oz è enorme. Le immagini e le canzoni del film (a partire da “Over the Rainbow”) sono una parte consolidata della cultura americana, al punto di poterli considerare linguaggio comune a tre generazioni e un classico per l’infanzia rappresentativo di cosa significhi crescere negli Stati Uniti. Secondo tale autore, il viaggio di Dorothy dal Kansas attraverso la stradina dorata alla Città di Smeraldo è un viaggio verso la maturazione personale così come la metafora della storia dell’America.
Ci sono poi dei paralleli tra questo film e Il Signore degli Anelli di Peter Jackson. Robert C. Evans, nel suo articolo “Peter Jackson’s The Lord of the Rings trilogy and Victor Fleming’s The Wizard of Oz” nota alcune coincidenze che fanno pensare che la squadra che ha realizzato la trilogia ispirata all’opera del professore inglese amino molto il film di cui abbiamo parlato.
In “Scrutinising the Rainbow: Fantastic Space in The Wizard of Oz (1939)” Alexander Sergeant, del King’s College di Londra approfondisce il tema dello spazio, centrale nella narrativa fantastica, a partire dal fatto che nel film il Kansas è ripreso nelle tonalità grigio seppia e rappresentato come una terra desolata, mentre il mondo magico di Oz, ripreso in Technicolor, è uno spazio coloratissimo e molto animato. Il mondo magico di Oz è tale anche per il contrasto con il mondo in bianco e nero del Kansas. Certo, non c’è alcun posto come la propria casa, ma non c’è alcun posto come Oz.
E il Terribile Mago di Oz? Il sedicente mago che simula i suoi poteri attraverso trucchi scenici è per alcuni versi la rappresentazione del cinema: una magia sapientemente costruita da abili artigiani, talentuosi artisti e fantasiosi cantastorie.
Judy Garland si dimostrò grande attrice e brava cantante. Tuttavia fu assoggettata a severe limitazioni, fu vittima di molestie e subì ritmi pesantissimi di lavorazione imposti dalla produzione alla giovane attrice, che la portarono ad assumere ingenti dosi di farmaci creandole una dipendenza. Non possiamo che augurarle di aver trovato pace, al di là dell’arcobaleno.