Ho incontrato Max Ulivieri responsabile del progetto www.lovegiver.it, che cerca di definire la figura dell’assistente sessuale, da noi definita O.E.A.S. (operatore all’emotività, all’affettività e alla sessualità)e con lui abbiamo fatto una analisi il più possibile esaustiva del rapporto sessualità disabilità. Un tema difficile questo perché va a forzare un muro di luoghi comuni per i quali si è volutamente procastinarne la soluzione per quanto potrebbe sembrare quasi ovvia perché di una sorta di assistenza modulata sull’esigenza di chi la richiede. E l’assistente deve essere formato e preparato.
D. – L’assistente sessuale è una figura nuova nel nostro paese. Non è normata anche se alcuni anni fa si era arrivati ad una proposta di legge (la n.1442) poi dimenticata nelle stanze di Montecitorio. Oggi manca ancora l’assistente sessuale?
R. – Vero manca una legge ed io sarei felice se questa figura venisse inserita in un quadro normativo ufficiale, ma in attesa dei lunghi tempi della politica noi stiamo andando avanti con i nostri corsi di formazione. In questo momento c’è una richiesta di una figura del genere. A volte viene pagata dai genitori o comunque dal disabile. E di per se questo è un primo problema. Il secondo problema è che noi facciamo fatica ad andare avanti proprio per la mancanza di fondi . Gli operatori che abbiamo formato, quando fanno un percorso sulla disabilità hanno un supervisore e quindi uno psicologo o una psicologa. Insomma professionisti che in qualche modo devono essere pagati perché il volontariato funziona ma fino a un certo punto. Il nostro operatore deve lavorare sull’emotività e l’affettività e mettere nel percorso anche un lavoro psicologico perché è importante capire come e su cosa si possa muovere. Il tutto deve essere coordinato.
D. – LoveGyver coordina un’assistenza guidata per un approccio alla sessualità del disabile. Quali sono in generale i temi delle richieste che ti arrivano ?
R. – Le richieste maggiori che ci arrivano sono di genitori con figli autistici ad esempio. Oppure per ragazzi che sentono l’ impulso di toccarsi ma non sanno come si fa. E noi abbiamo degli educatori che possono aiutarli disegni, esercizi ed altro. L’obiettivo è dar loro un minimo di autonomia. Il problema è diverso rispetto al tipo di disabilità motoria oppure cognitiva. Mi arrivano anche richieste più spinte anche da parte dei genitori. io potrei anche dirle che magari un’operatrice che non può, potrebbe almeno un rapporto sessuale completo con suo figlio ma che succede cosa cambierebbe dopo la settimana ? Saremmo punto a capo. Ed attenzione perché ci sono persone che neppure possono toccarsi e persone che sentono lo stimolo a farlo ma appunto la loro condizione cognitiva impedisce loro il passo verso la comprensione di questo impulso
D.- Che ruolo ha la sessualità nella vita di un disabile? Può avere valenza terapeutica?
R.- Avere una relazione con qualcuno ed avere una vita sessuale, diciamo normale, o comunque soddisfacente ricopre già di per se una valenza terapeutica. Detto questo poi dovremmo aggiungere generalmente si affronta il tema sessualità in forma molto diversa. L’uomo cerca il rapporto fisico, la donna preferisce la relazione.
D. – Parlami della tua esperienza
R. – Io in realtà fino quasi a trent’anni non ho avuto esperienze. Internet ha cambiato tutto nella mia vita sia a livello relazionale, che affettivo e lavorativo. Quando mia moglie, Giuliana, si è messa con me la gente pensava fosse un’educatrice o facesse parte di un’associazione. E questo era il modo più semplice per spiegare il perché della nostra relazione. In realtà, lei viveva in piccolo paese, Castelvetrano, inaccessibile alle persone disabili. Io ho mai visto in lei e per nessuna differenza e questo è sto reciproco. Quindi il problema più difficile da superare oggi è quello abituare la gente a vedere i corpi diversi anche in situazioni normalissime. Di qui esigenze differenti che richiedono attenzione. Poi è fondamentale più della disabilità capire due aspetti del problema che possono sembrare banali. Il primo, riesco a parlare? Perchè non tutti riescono e molti non riescono a sfruttare l’arma della conquista intellettiva della donna e poi il secondo che è l’approccio ad una disabilità fisica motoria.
D. – Quale approccio hai con la gente?
R. – Alla gente dico sempre “…non dovete immaginare quanto sia importante la sessualità per voi che comunque siete liberi di scegliere. Molte persone con disabilità non possono farlo anche perché non hanno neppure la libertà di muoversi”. Quindi è importante fare questa considerazione di fondo. Poi i nostri bisogni sono del tutto comuni. Non c’è nulla di strano, abbiamo solo più difficoltà da superare per attuarli. Io parlo comunque della disabilità la fisica. I bisogni di una disabilità cognitiva sono altri e sono molto più complicati per approccio e soluzione.
D. – La disabilità è ancora un ostacolo nei rapporti interpersonali?
R. – Mah, io mi sono fatto la corazza. Vedi capita che la gente ti guardi con diversità e qualche volta non lo capisci perché magari sei piccolo, poi crescendo ragioni e ti chiedi perché? Anch’io se vedo passare un uomo con due teste lo guardo con curiosità perché non l’ho mai visto. Ma non sto a fissarlo oppure, a giudicarlo e non sto a pensare che sia diverso da me. E diverso non vuol dire inferiore. Se c‘è curiosità non c’è nulla di male. Ad esempio la scorsa estate ero al mare ed un bambino di cinque o sei anni mentre me ne stavo in acqua con mia figlia, mi ha guardato e poi ha chiamato la sorellina “…vedi come fa ridere questo…” L’ho ritrovato al bar qualche minuto più tardi. Io ero sulla mia carrozzina elettrica, l’ho visto e quando stava passando davanti a me gli ho detto “…se non ti muovi ti passo sopra. Questo è scappato via dalla mamma..” Ma non c’era cattiveria in cosa ha detto. La cattiveria è legata invece ai pregiudizi.
D. – Coma manca perché la gente accetti l’idea di una relazione tra sessualità e disabilità?
R. – Sembra banale ma la gente si abitua ad una situazione solo se in qualche modo le viene presentata confezionata in un certo modo. Tempo fa l’introduzione delle Paraolimpiadi ha rappresentato un’occasione di inclusività e di normalizzazione della disabilità nella nostra società. Le serie televisive oppure i films in cui il protagonista sia che faccia il detective o altro è sulla sedia a rotelle rappresentano un altro esempio positivo in questo senso. Quindi anche l’aspetto sessuale dovrebbe essere compreso perché parte della quotidianità di ciascuno. Ovvio deve parlarsene di più.
D. – Quanto male può fare reprimere le proprie pulsioni sessuali?
R. – Vorrei ricordare intanto che sotto un profilo generale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha equiparato il diritto alla salute sessuale ai diritti umani in generale. Vivere la propria sessualità poi aiuta a star bene con noi stessi e questo vale per tutti. Nello specifico inquadrare questo in un normativa diventa difficile perché dobbiamo evitare venga trattata come una malattia perché non lo é. Per il resto si, ciascuno di noi ha il diritto ad una propria sessualità e l’assistente svolge come già detto in precedenza questo ruolo.
D. – Nel nostro paese ci sono buone prospettive per un intervento che regolamenti l’assistenza nel contesto della sessualità per il disabile?
R. – Un tentativo di abbattere questo muro di pregiudizi era stato portato avanti con il disegno di legge 1442 depositato in Senato nel 2014 dall’esponente del Partito democratico Sergio Lo Giudice. Nella proposta si chiedeva l’istituzione di un elenco per assistenti per la sana sessualità e il benessere psico-fisico delle persone con disabilità. L’obiettivo era quello riconoscere anche in Italia l’assistenza sessuale per i disabili. E’ quanto propone un disegno di legge a prima firma del senatore Pd, Sergio Lo Giudice, sottoscritto da altri otto colleghi di gruppo (Monica Cirinna’, Erica D’Adda, Maria Cecilia Guerra, Luigi Manconi, Donella Mattesini, Stefania Pezzopane, Lucrezia Ricchiuti, Maria Spilabotte) e firmato da Pietro Ichino di Scelta civica e dall’ex M5s Marino Mastrangeli ora nel gruppo Misto. Da otto anni sul fronte legislativo, tutto tace.
D. – Cosa cambia negli altri paesi che a differenza dell’Italia hanno già da tempo affrontato il tema regolamentandolo?
R. – Siamo ancora lontani da quello che può esserci in Danimarca in Germania, in Olanda oppure in Svizzera dove la sessualità è compresa in forma diversa. In questi paesi c’è già la possibilità di rapporti con il corpo più completi. Questo consente di vivere un percorso che aiuta a conoscere meglio anche il proprio corpo. E’ chiaro comunque che ci sia sempre il pericolo di entrare in un tunnel di solitudine, forse perché la vera soluzione resta quella di vivere una relazione che possa aprire la persona al coraggio ed alla positività.
L’incontro con Max mi riporta ad una considerazione per la quale al giorno d’oggi si parla di più sia di disabilità che di sessualità, anche grazie ai social e agli attivisti “del settore”. Detto questo, rimane ancora una forte difficoltà a livello sociale, familiare, educativo e lavorativo di accettare la dimensione sessuale e sessuata del soggetto disabile.
Non ci aiuta ad esempio il fatto che l’educazione sessuale nelle scuole, in Italia non sia prevista come obbligatoria da alcuna normativa e permanga purtroppo una rete di pregiudizi che colloca il disabile in un contesto di “creature” asessuate, prive di pulsioni e senza percezione del proprio corpo, mentre possono invece appartenere a qualsiasi orientamento sessuale e relazionale. E l’eventuale partner di una persona con disabilità viene spesso “santificato”, dipinto come un eroe, come qualcuno di capace a superare “il problema”. Ed allora cerchiamo tutti di rimuovere i pregiudizi allora e solo allora potremmo avere la giusta percezione che ci guiderà verso la normalizzazione del tema.
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