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Sessualità ed handicap: analisi e confronto

15/08/2024 | Sessualità ed handicap

L’intervista con Michele Usuelli è datata, ma resta la base preliminare per aprire un confronto su un tema importante che è parte della quotidianità e deve essere analizzato con urgenza. Ecco allora come con il dott. Usuelli abbiamo cercato di chiarire e definire il rapporto tra sessualità ed handicap. Nel corso degli ultimi anni le […]

L’intervista con Michele Usuelli è datata, ma resta la base preliminare per aprire un confronto su un tema importante che è parte della quotidianità e deve essere analizzato con urgenza. Ecco allora come con il dott. Usuelli abbiamo cercato di chiarire e definire il rapporto tra sessualità ed handicap.

Nel corso degli ultimi anni le famiglie, i servizi e le stesse persone con disabilità hanno acquisito una sempre maggiore consapevolezza della sessualità e delle problematiche culturali, etiche, affettive e relazionali ad essa correlate. Ancora oggi però le persone con disabilità vengono discriminate per quanto riguarda l’accesso alle relazioni di intimità, contrarre matrimonio, procreare ed allevare figli. Escluse e marginalizzate in una logica che attribuisce alla condizione di disabilità il connotato prevalente. Ne ho parlato con il dott. Michele Usuelli, medico specialista in pediatria e terapia intensiva neonatale per anni sette anni ha lavorato in paesi poveri ed in guerra, già consigliere regionale della Lombardia dal 2018 sino al 2023 per Più Europa Radicali Italiani di cui è stato Tesoriere nazionale e continua oggi a farne parte.

D- La percezione comune è che le persone con disabilità non solo non abbiano certi bisogni, ma che non siano addirittura contemplabili come partner, perché “chissà se lo fanno”, “chissà come lo fanno”, “chissà se sentono qualcosa”. Questo è ancora un comune sentire che ha generato in passato molti tabù oppure la società sta cambiando e rimodulando l’approccio al tema?

R. – Ho toccato con mano il tema della sessualità disabile nella mia adolescenza, mentre provavo ad imparare a gestire la mia. Ho fatto per anni il volontario presso il servizio “tempo libero” di AIAS Milano. Svolgevo due attività. Una sera a settimana ragazzi disabili uscivano a divertirsi senza i genitori ed i genitori passavano una serata senza figli. Era l’inizio degli anni novanta e praticamente tutti i disabili vivevano in casa con i genitori. In estate, seguendo lo stesso principio, facevamo vacanze insieme, generalmente una settimana. Sentimenti e o ormoni di alcuni tra i volontari e tra i disabili esplodevano. Inoltre vi erano i momenti legati alla igiene personale nel bagno o nella doccia in cui era particolarmente delicato per un ragazzo disabile affidarsi al volontario e viceversa. Quei momenti di intimità obbligata potevano far iniziare discorsi: non potersi toccare perché le proprie mani non si muovono come dovrebbero, o il non potere avere momenti di intimità per via della propria disabilità.

D.- Che ruolo ha la sessualità nella vita di un disabile? Può avere valenza terapeutica?

R. – Non esistono i disabili. Ogni persona è diversa dall’altra, con i propri valori morali, i ripensamenti, le evoluzioni. Ognuno ha la sua soglia di autostima di partenza e che cambia a seconda delle esperienze. Le persone, tutte, vivono la sessualità, l’amore e gli affetti in un range che va dal “come voglio al come posso”: i belli, simpatici, non timidi ed intelligenti hanno maggiori possibilità. Per alcuni disabili questo processo è ulteriormente ostacolato dalla mancanza di autonomia fisica nei movimenti, in altri dalla difficoltà nell’eloquio, in altri da entrambi gli handicap. Inoltre chi non riesca a sodisfare le proprie pulsioni o desideri d’amore puo’ andare incontro ad un processo di frustrazione di cui è sempre più difficile parlare e che puo’ portare al pensare di non avere diritto ad una vita sessuale/sentimentale anche per evitare di soffrire di delusioni. Quando l’autostima scende sotto una soglia critica, si perde anche la speranza per evitare di soffrire. Complicatissimo è anche trovare con chi parlarne. L’affettività ed il sesso contribuiscono in maniera importantissima alla felicità di un individuo.

D.- Come viene vissuta la sessualità da una donna o da un uomo con qualsiasi tipo di disabilità? Ci sono differenze o analogie di approccio tra i due sessi?

R. – Non saprei. Il corpo di un disabile spesso provoca fastidio e paura perché non siamo abituati a rapportarci con qualcosa che è diverso da noi e che infine gestiamo con paternalismo. La sessualità è parte integrante del nostro essere, è un fatto istintivo della razza umana così come di quella animale, insito in ogni corpo. Avere strumenti di legge per affrontare le difficoltà di sessualità di un disabile con percorsi, offre possibilità a chi quei percorsi vorrà intraprendere e nulla lede in chi non ritenesse di utilizzarli per qualsiasi motivo. Questo è un principio fondamentale dell’essere liberali e a tutela dell’ampliamento dei diritti.

D.- Quali sono le differenze più rilevanti tra l’affettività vissuta da una persona con deficit motori e chi ha invece una difficoltà cognitiva? E tra chi ha una disabilità congenita e chi, al contrario, per varie ragioni ne “acquisisce” una?

R. – Dentro al termine disabilità vi sono situazioni diversissime che reclamano competenze specifiche. Aiutare chi è rimasto vittima di un incidente e ha perso parte delle proprie facoltà motorie a riscoprire come dare e ricevere piacere, consentire un’esperienza fisica anche a chi, perché nato con una disabilità, non ha mai avuto modo di sperimentare la sessualità, insegnare a prendersi cura del proprio corpo anche quando sono presenti limiti fisici o psichici

D.- Quanto male può fare reprimere le proprie pulsioni sessuali?

R. – La società e la politica devono lavorare per rimuovere gli ostacoli che portano alla repressione delle pulsioni sessuali. Mi è capitato di accompagnare una ragazza disabile ad un appuntamento a casa di un suo possibile spasimante. I genitori di lui non hanno mai lasciato la stanza. Mi è capitato che ragazzi disabili mi abbiano chiesto la cortesia di essere aiutati ad usufruire dei servizi di professioniste del sesso. In assenza di una regolamentazione statale resta il libero mercato in cui alcune professioniste del sesso, nei siti di escort, specificano che sono disponibili a prestare i loro servigi a persone con disabilità. Questo è un bene, ma in uno stato meno bigotto, sarebbe utile che vi fossero percorsi di formazione professionale per i/le professioniste del sesso e che i genitori dei disabili non dovessero farsi carico anche di questo aspetto della vita dei figli, come invece spesso accade. Nelle poche occasioni di dibattito pubblico sul tema, mi è capitato di parlare a latere con genitori, scossi e commossi del fatto che si parlasse di questi temi, che avevano vissuto personalmente. Anche per i genitori sarebbero importanti momenti di formazione e di approfondimento. Altri genitori si sono mostrati molto contrariati verso un approccio pragmatico e liberale. Il tema è difficile, importante ed ogni sensibilità va rispettata. Però il fenomeno va governato e vi debbono poter essere percorsi.

D.- L’assistente sessuale è una figura molto discussa e criticata. In buona sostanza è una forma di accompagnamento erotico da parte di persone specializzate, per aiutare le persone disabili a scoprire il proprio corpo attraverso la relazione con l’altro. In Italia, è in corso una battaglia per ottenere il riconoscimento giuridico di questa pratica, che già è regolamentata in alcuni Paesi europei. Come potrebbe essere regolarizzata? E come potrebbe rientrare nei servizi di welfare?

R. – La figura dell’assistente sessuale è presente in Svizzera, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Austria. Ho conosciuto famiglie che accompagnano i propri figli in Austria perché possano portare avanti un percorso di educazione alla sessualità con figure professionali e formate. Sono davvero troppi gli aspetti delle nostre vite in cui gli italiani devono andare all’estero per esigere diritti e servizi in Italia proibiti o non affrontati. L’assistenza sessuale per disabili (AS) rappresenta storicamente l’evoluzione civile di inconfessabili prestazioni incestuose da parte di madri di disabili. Questa figura professionale, all’estero è formata per offrire un percorso di formazione dedicato ai temi dell’amore, degli affetti, della sessualità. Nel 2014 un Comitato per far riconoscere anche in Italia la figura dell’assistente sessuale formula un disegno di legge presentato con il sostegno dell’area politica radicale dalla Associazione Luca Coscioni a chi oggi fa parte di Più Europa e da alcuni esponenti del movimento Lgbt. Dal punto di vista “scientifico” la proposta viene sostenuta dall’Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica (IISS) di Roma. Il DDL mirava ad aiutare chi, per via di una disabilità psichica o fisica, non ha la possibilità di vivere la propria sessualità ed introduce, in Italia, la figura professionale dell’assistente sessuale. Una figura, cioè, che sulla base di una formazione psicologica, sessuologica e medica, “sia in grado di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria, psichica, o cognitiva, a vivere un’esperienza erotica, sensuale o sessuale – recita il testo del provvedimento – e a indirizzare al meglio le proprie energie interne, spesso scaricate in modo disfunzionale in sentimenti di rabbia e aggressività”. Il progetto di legge prende avvio da una sentenza della Corte Costituzionale, la 561 del 1987, che tra i diritti umani fondamentali riconosce anche la sessualità in quanto “è uno degli essenziali modi di espressione della persona umana”, e come tale è soggetto a tutela dall’articolo 2 della Costituzione. Diritto che però, in talune circostanze, viene limitato dalle condizioni psichiche e fisiche in cui versano le persone con disabilità.

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