Bertoli: un cantautore speciale

di Alessandro Claudio Giordano

Dimmi come vivi, chi sei/Dove ti rifugi quando tutto è contro di noi
A che cosa pensi?/Dimmi come vivi con te
E ti senti bene?/Se il mondo non è quello che tu vuoi
Ti affidi a quali venti?

Così inizia “Dimmi” uno dei maggiori successi di Pierangelo Bertoli, il simbolo di canzone di protesta mai mediata da compromessi. Il cantautore emiliano in anni di carriera ha inanellato importanti successi. Nel 1974 pubblicò il suo primo album, “Rosso colore dell’amore“. Poco tempo dopo Bertoli decise quindi di radunare alcuni suoi amici musicisti come Francesco Coccapani, Marco Dieci e Gigi Cervi con i quali realizzò un nuovo disco dal titolo “Roca Blues“. In seguito firmò un contratto nel 1976 con la CGD (Compagnia Generale del Disco) nel 1976, grazie al quale pubblicò l’album “Eppure soffia“. Con questo disco, Bertoli decise di puntare su temi quali l’impegno sociale, la riscoperta delle radici e del dialetto. Nel 1979 ecco “A muso duro“, una sorta di manifesto poetico che rappresentava senza dubbio uno degli episodi migliori della carriera di Pierangelo Bertoli e dal quale, oltre alla critica verso discografici e “falsi poeti”, traspare ciò che per Bertoli significa essere un cantautore: un modo per raccontare storie ed essere felici con se stessi. Nel 1981 scalò le classifiche di vendita con un disco in cui, oltre alla famosa “Pescatore” in coppia con Fiorella Mannoia, c’è il brano che dà il titolo all’album “Certi momenti“: una canzone che affronta un tema forte, sostenendo il diritto all’aborto e criticando Chiesa e moralisti. Seguirono anni di grandi collaborazioni con Ligabue prima e con Elio e Storie Tese poi. Nel 1991 Pierangelo Bertoli si presenta a Sanremo, insieme al gruppo sardo dei Tazenda con il brano “Spunta la Luna dal monte“. Il singolo ottiene molto successo, tanto da dare anche il titolo ad un album di “best” che vincerà il disco di platino. L’anno seguente Bertoli tornò a Sanremo con “Italia d’oro“, una denuncia senza filtri che anticipa lo scandalo di Tangentopoli che poco dopo avrebbe inondato l’opinione pubblica. L’album conteneva anche la canzone “Giulio“, un’accusa diretta e mirata a Giulio Andreotti. Lo stile di Bertoli si contraddistingue per la sua immediatezza, mai banale, Bertoli è un esempio limpido della bontà della prima canzone d'autore italiana che ha ospitato artisti come Fabrizio De André, Francesco Guccini, Paolo Conte, Giorgio Gaber, Francesco De Gregori.

Le sue canzoni sono messaggi di sincerità e di speranza, denuncia sociale, ora aggressiva, ora meditata, ora fraterna. Non ci sono coinvolgimenti nel consumismo sfrenato del mercato e nel qualunquismo dilagante del cliente che perde il suo ruolo di cittadino per offrirsi solo come consumatore. La sua è una sensibilità politica è genuina e nasce dalla terra natale emiliana. La sue sensibilità è di chi non sopporta le truffe e gli inganni della classe politica e di un popolo a volte compiacente, a volte distratto, a volte menefreghista. Sensibilità di un "disabile", cioè portatore di handicap, che i nuovi neologismi inventati per confermare cose già note, direbbero "diversamente abile". Posizione ipocrita, tranquillizzante: non per chi vive sulla propria pelle la sofferenza, ma per chi la deve "curare" con iniziative politiche che rendano meno difficile il districarsi continuo tra mille difficoltà. Bertoli sfugge a questo contesto e non rinuncia a farsene beffe relegando nel pietoso silenzio chi si piange addosso senza muovere un dito. Oggi a distanza dalla morte avvenuta quasi venti anni fa, ci rimane l’esempio di un uomo schivo e sincero, generoso e coraggioso, indomito. Rimangono le sue canzoni, di interprete e musicista, a ricordarci che, nonostante le sfortunate avversità della vita, ognuno possa in qualche modo farcela.