Smart city - prima parte

di Piero Giuseppe Goletto

Questo è il primo articolo di una serie che intendiamo dedicare al tema della smart city, argomento la cui definizione varia a secondo delle nazioni, del contesto geopolitico e del contesto locale.

 

Elemento comune a tutte le definizioni di smart city è l’introduzione di infrastrutture digitali che rendano i servizi urbani più efficienti e, in ultima analisi, incrementino la competitività di un territorio. Le infrastrutture digitali che servono sono da individuare e realizzare secondo un approccio che metta al centro il benessere e la qualità della vita degli abitanti.

 

Secondo la Commissione Europea – leggiamo in un rapporto OCSE su questo tema – una smart city è un luogo dove i servizi vengono resi più efficienti grazie all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, a beneficio degli abitanti e delle imprese (Commissione Europea, 2014).

 Una smart city presenta in grado diverso varie dimensioni di innovazione urbana: l’innovazione tecnologica  consente di introdurre nuovi servizi; l’innovazione organizzativa modifica il modo di lavorare del settore pubblico; si crea la cosiddetta “tripla elica”, cioè un insieme di sinergie tra governi, università e imprese.

 Proprio per la prevalenza dell’introduzione di innovazioni tecnologiche o di innovazioni organizzative si parla di smart cities a base tecnologica, a base organizzativa oppure a base cooperativa se nel modello organizzativo scelto è particolarmente rilevante la collaborazione tra i diversi soggetti insistenti sul territorio.

 Nel rapporto dell’OCSE “Smart Cities and Inclusive Growth” si rimarca che le nazioni aderenti a tale organismo internazionale potranno trarre vantaggio dalla creazione di smart cities in virtù della disponibilità di connettività a banda larga. La digitalizzazione è ciò che ha permesso, durante il periodo pandemico, il telelavoro e si stanno introducendo servizi di e-health che cambieranno il rapporto tra medico e paziente. In generale, nelle smart cities vengono introdotti servizi che consentono di ridurre i consumi energetici, migliorare la gestione del traffico, introdurre servizi di telemedicina, attivare servizi di car sharing che riducono il consumo di suolo per parcheggi.

 Non bisogna però nascondere che l’introduzione delle smart cities non è scevra da problemi e rischi. Uno di questi è l’intensissimo utilizzo di dati, che devono essere analizzati perché servono letteralmente a gestire la città. Inoltre, sarà necessario formare o riconvertire la forza lavoro perché possa approfittare delle nuove opportunità che verranno a crearsi introducendo le tecnologie e le industrie abilitate dalla smart city.

 Lo stesso rapporto dell’OCSE non manca di sottolineare alcune opportunità, legate alla crescita dell’efficienza dei servizi e a nuove forme di partecipazione e di partenariato tra gli enti territoriali e le organizzazioni che riuniscono i cittadini (associazioni imprenditoriali e tutto il variegato mondo del terzo settore per esempio).

 Tutto questo può funzionare purché sia salvaguardata la privacy dei cittadini. In assenza di misure di sicurezza molto forti, la privacy dei cittadini può correre dei rischi. Nel mondo del lavoro, il divario tra le persone che hanno competenze tecnologiche e quelle che non le hanno potrebbe inasprire la disuguaglianza – cosa che conferma come la formazione per il “mondo digitale” sia indispensabile e il modello di smart city – ancorché introdotto con le migliori intenzioni – se mal gestito potrebbe creare divisioni tra chi ha accesso a connettività a banda ultralarga e chi non ne dispone.

 Tutte le smart city sono strutturate a partire dalle seguenti componenti infrastruttura, costruzioni, trasporti, energia, sanità, tecnologia, governo della città, istruzione e cittadini. La smart city deve fornire risposte a quattro temi: società (la città è per i suoi abitanti), economia (la città deve realizzare una duratura e costante crescita economica), la sostenibilità si lega alle problematiche dell’ambiente, va da sé che le funzioni di governo della città devono essere in grado di sostenerne e favorirne lo sviluppo.

L’Unione Europea ha osservato in più di una circostanza che le smart city possono accogliere iniziative che riguardano “beni pubblici” come l’approvvigionamento energetico e il cambiamento climatico.

 C’è da chiedersi se ciò che stiamo definendo non sia un’ideale di “città perfetta”. Se anche lo fosse, si tratterebbe di capire: perfetta per chi?  per i cittadini? per gli amministratori, per gli imprenditori? per la Governance. Perfetta perché? E prima ancora: cosa si intende per città? Una città è fatta di quartieri, di distretti, di periferie, di aree metropolitane. E ancora se si ammette l’esistenza della smart city si deve accettare che esista una smart land, smart community, cioè un modello legato a un territorio costituito in primo luogo da paesi e borghi, situazione che tocca incredibilmente da vicino la nostra Provincia.

 Non deve essere un problema solo italiano, se la Commissione Europea intende sostenere una politica di “borghi smart” per fronteggiare le necessità di questi territori.

 

I borghi smart sono fatti dalle persone e per le persone, per trovare soluzioni concrete e servirsi delle tecnologie digitali quando servono e danno vantaggio.  Realizzare iniziative valide per i borghi intelligenti significa pensare oltre il confine del borgo e costruire nuove forme di cooperazione.