Savoia: l'arte a corte

di Alessandro Claudio Giordano

 Per capire il rapporto tra la corte sabauda e l’arte in senso lato è importante partire da un periodo storico preciso perché si identifica un’epoca storica precisa. Si perché dalla seconda metà del Cinquecento, i Savoia iniziarono a modellare la vita della corte torinese ispirandosi alle grandi dinastie europee, in particolare di Spagna e Francia.

La priorità era legata a fare il possibile per poter competere con le altre corti europee. Mode e svaghi per coinvolgere la nobiltà.  Vennero chiamati abitualmente a corte artisti e letterati, offerti preziosi oggetti in dono per ostentare l'altissimo livello tecnico delle manifatture locali. Divertimento, ma anche  strumento di propaganda politica. Le feste nell'età barocca erano un momento importante della vita della dinastia. Le occasioni dei festeggiamenti erano tratte dal calendario civile e religioso (come il Carnevale e l'ostensione della Sindone), dai momenti più significativi della vita dei principi (battesimi, compleanni, matrimoni, funerali, incoronazioni e ingressi trionfali nelle città) infine dalla successione delle stagioni, con corse in slitta sulla neve e spettacoli sul fiume e nei giardini delle ville. Così la preparazione delle feste era una potente macchina economica e organizzativa, che coinvolgeva pittori, scultori, letterati, attori, musicisti, cuochi, sarti, carpentieri, domatori di animali, fuocaroli e tecnici dell'acqua. Oltre a molta mano d'opera, locale o chiamata da altre corti e composta da intellettuali e artigiani che viveva di questa committenza e ne riversa i benefici economici e culturali sull'intera società. Erano una metafora del potere, nella quale il sovrano presenta una immagine poetica, coerente e ufficiale della propria autorità. Sotto la maschera di narrazioni favolose, sotto i travestimenti sontuosi di personaggi di fantasia, si nascondono e insieme si rivelano gli ideali politici e le aspirazioni dinastiche del principe. Poi c’era l'impronta personale del sovrano nella elaborazione, anche pratica, delle feste. Carlo Emanuele I ad esempio annotò di suo pugno in un foglietto l'invenzione di un torneo, la Selva Incantata, i nomi dei cavalieri con i rispettivi colori e lo schema di incrocio delle loro traiettorie in campo. Questo accedeva in tutte le corti d’Europa e ciascuna di queste sfidava le altre nell’allestimento e nella coreografia di momenti conviviali, occasione spesso per presentare opere d’arte confezionate da pittori o scultori venuti a corte per soggiornarvi e lavorare.  Le grandi protagoniste delle feste a corte sono Cristina di Francia e Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours. Con vero intuito femminile le due Madame Reali colgono la potenza comunicativa della celebrazione della festa e la confezionano per ottenerne il massimo risultato a proprio vantaggio. I contenuti erano elaborati e controllati con attenzione, concentrando le allusioni politiche e dinastiche, tanto eleganti nella forma quanto chiare e inequivocabili nella trasmissione del messaggio. Cristina di Francia, venendo in sposa a Vittorio Amedeo I nel 1619, portò dalla corte di Parigi la moda dei balletti, ad esempio. In questo clima in cui la corte era molto distante dalla quotidianità e spesso era anche anfitriona: arte intesa come poesia, pittura e scultura occupava le giornate di tutte le corti europee così come quella sabauda. Più o meno tutte le residenze sabaude hanno ospitato o ospitano opere d’arte, così sarebbe riduttivo pensare a Palazzo Reale come unica sede di corte. Infatti l’abitudine della corte era quella di spostarsi con tutti i dignitari, circa trecentotrenta) a differenti cadenze temporali e mobili e tutto ciò che avrebbe potuto rendere comodo e familiare il soggiorno della famiglia reale era parte del bagaglio, non diremmo a mano, del trasferimento a Racconigi oppure alla Venaria. Nonostante tutto la corte sabauda non amava ostentare le proprie ricchezze. I costi nella gestione della quotidianità erano controllati e verificati a livelli quasi maniacali.  Nello stato sabaudo tra il 1600 e il 1700 due donne, Cristina di Francia (Parigi 1606 – Torino 1663) e Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours (Parigi 1644 – Torino 1724), impressero un forte sviluppo alla società e alla cultura artistica. Dobbiamo molto a queste donne che seppero scegliere e conservare opere uniche. Chrestienne de France, era figlia del re di Francia Enrico IV di Borbone e di Maria de’ Medici, raggiunse da Parigi Torino nel 1619 all’età di tredici anni, sposa di Vittorio Amedeo I di Savoia. Rimasta vedova nel 1637, Cristina assunse la reggenza per il figlio minorenne Carlo Emanuele e si scontrò con i Principi suoi cognati, Maurizio e Tommaso di Savoia-Carignano, sostenitori degli Spagnoli. La guerra civile si protrae fino al 1642, quando l’accordo fra la duchessa e i cognati è concluso col matrimonio della figlia Ludovica con lo zio, il Cardinal Maurizio. Cristina riesce a mantenere l’indipendenza del Ducato e del proprio potere, che cede formalmente al figlio nel 1648. Di fatto, però, continua a governare fino alla morte nel 1663. Cristina favorì a Torino un nuovo piano edile: con la piazza reale di San Carlo.

Dal 1643 avevano intanto preso il via i lavori del Palazzo Reale così come lo vediamo oggi. Sempre per volontà di Cristina sorsero inoltre a Torino in questi anni la chiesa di Santa Teresa, il convento di San Francesco, l'ospedale della Carità e il Palazzo della Città: la prima pietra della nuova sede barocca dell’autorità cittadina, opera di Francesco Lanfranchi, viene posta nel 1659 proprio alla presenza del duca Carlo Emanuele II e della madre Cristina di Francia e nel 1663 i lavori giungono al termine. Nel 1644 Carlo ed Amedeo di Castellamonte concludono i lavori per il Castello di Rivoli, riprendendo e modificando parzialmente un progetto del Vitozzi. Nel 1657 inizia la costruzione per la cappella della Santa Sindone, iniziata dal Quadri e terminata da Guarino Guarini con la celebre cupola. Nel 1658 Amedeo di Castellamonte e Michelangelo Garove avviano la progettazione della grandiosa Reggia di Venaria Reale, imponente e fastosa residenza di caccia. Nipote di Enrico IV di Francia, Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, dama di corte della regina di Francia, lasciò nel 1665 la reggia di Luigi XIV, il Re Sole, per diventare duchessa di Savoia. Vedova dal 1675, Maria Giovanna Battista regge il ducato fino al 1684, quando il figlio Vittorio Amedeo II assume d’autorità il potere. Nel periodo in cui governò si trova a fronteggiare la povertà causata in Piemonte dalle grandi carestie degli anni 1677-1680 e, per Ambiziosa, colta e raffinata, Maria Giovanna cercò di lasciare una memoria segnata soprattutto dai suoi interventi a patrocinio delle arti e delle lettere. Per la sua residenza, Palazzo Madama, Maria Giovanna Battista nel 1718 invitò l’architetto Filippo Juvarra a realizzare il grandioso scalone d’onore, capolavoro del Barocco europeo.

Con una mentalità aperta abituate ai fasti delle corti europee, ed hanno basi culturali di architettura ed arte. Pochi anni dopo la sua morte, nel 1729, inizia su progetto di Filippo Juvarra la costruzione della Palazzina di Caccia di Stupinigi, luogo di loisir per la caccia nella vita di corte sabauda, sontuosa e raffinata dimora prediletta dai Savoia per feste e matrimoni. In fondo questo non era che il desiderio dei Savoia di allinearsi con le altre signorie europee e trovò la sua espressione più vistosa in una straordinaria attività di collezionismo: per mezzo secolo Carlo Emanuele, in seguito imitato ed affiancato dai figli Vittorio Amedeo e Maurizio, oltre che  dai suoi stessi ambasciatori e consiglieri che cercavano  possibilità di acquisto di dipinti, oggetti preziosi, libri e tutto ciò che poteva arricchire la corte. Un insieme di tentativi non sempre riusciti ma che fecero comunque conoscere ai Savoia grandi artisti a cui commissionarono di tanto in tanto anche lavori importanti. Il Barocco vide il suo sviluppo torinese proprio attraverso quest’attività di nuova ricerca anche architettonica che ha regalato a Torino un insieme di opere che tracciano l’arte in città. Toccherà poi ai successori, i monarchi dell’ottocento e della prima parte del novecento difendere il patrimonio artistico facendosi filantropi d’arte, una missione importante che valorizzerà, incrementandola, l’opera di mecenate della casa sabauda.