di Alessandro Claudio Giordano
La riforma Gentile, varata nel 1923, ha rappresentato un intervento legislativo epocale segnando il sistema scolastico italiano sia da un punto di vista strutturale che politico.
Nelle intenzioni il modello scelto fu il “neoidealista che realizza un maestro artista, “…un maestro che non si attiene rigidamente ad un metodo, che non prepara la lezione il giorno prima, ma che improvvisa creando un contatto vivo con l’alunno. L’educazione non deve badare a formare l’artigiano, il professionista, il tecnico, ma l’uomo, perciò prevarranno le materie umanistiche, espressive, l’arte, la religione, la filosofia e non le scienze. La pedagogia neoidealistica vede il lato formativo della persona secondo i principi e le norme proprie della tradizione classica.” Per questa pedagogia non esiste il problema di come conciliare la libertà con l’autorità, perché se il maestro insegna con amore, di riflesso il fanciullo s’interessa spontaneamente alla lezione e si autodisciplina.” Importante è dare una collocazione storica politica ad una riforma i cui tempi vennero forzati. Mussolini alla prima esperienza come capo del governo dovette imporre tempi stretti pe la riforma. Si infatti Mussolini era ben consapevole del ruolo fondamentale della scuola per un movimento politico che volesse ottenere e mantenere il consenso tra la popolazione; in secondo luogo, il leader fascista sapeva che intervenire in fretta su un tema così sentito come l’istruzione avrebbe aumentato il prestigio del suo governo. La riforma Gentile ebbe il merito di rendere l’obbligo scolastico ai quattordici anni d’età. I bambini avrebbero così frequentato solo per cinque anni una scuola unitaria, la scuola elementare, mentre negli anni successivi avrebbero dovuto compiere una scelta tra quattro possibilità. In estrema sintesi: il ginnasio, quinquennale, che dava l’accesso al liceo classico o al liceo scientifico (per molti aspetti simile al liceo moderno), l’istituto tecnico triennale, seguito da quattro anni di istituto tecnico superiore, l’istituto magistrale di sette anni, destinato alle future maestre e poi la scuola complementare, al termine della quale non era possibile iscriversi a nessuna altra scuola. Si trattava di un sistema che riprendeva per molti aspetti la legge Casati, anche per quanto riguarda l’accesso alla università. Così solo i diplomati del liceo classico avrebbero potuto frequentare tutte le facoltà universitarie, mentre ai diplomati del liceo scientifico sarebbe stato possibile accedere alle sole facoltà tecnico-scientifiche. Ad ogni buon conto si introduceva un sistema scolastico molto severo per l’accesso ai livelli superiori dell’istruzione ad un ristretto numero di giovani. Gentile, a chi lo rimproverava di causare con la sua riforma una netta diminuzione degli studenti delle scuole medie e superiori rispondeva che questo era esattamente il suo obiettivo. Così solo i figli dell’alta borghesia ed una ristretta minoranza dei ragazzi degli altri ceti sociali, quella più dotata per gli studi, aveva diritto a frequentare le scuole medie superiori, in particolare il ginnasio-liceo. Un’altra minoranza di figli del ceto medio poteva accedere alle altre scuole medie superiori, il liceo scientifico e gli istituti tecnici, mentre tutti gli altri (cioè la grande maggioranza della popolazione giovanile) non dovevano continuare gli studi dopo il raggiungimento del quattordicesimo anno di età. Secondo Gentile, infatti, gli studi superiori dovevano essere “aristocratici, nell’ottimo senso della parola: studi di pochi, dei migliori cui l’ingegno destina di fatto, o il censo e l’affetto delle famiglie pretendono destinare al culto de’ più alti ideali umani”. La riforma Gentile ha segnato il passaggio dal liberalismo al fascismo e, nonostante sia stata attaccata su più fronti, è stata una riforma sopravvissuta ben oltre il fascismo stesso. Tra il 1923 e il 1939, la stessa riforma fu sottoposta a molti “ritocchi”, mirati in ogni caso alla fascistizzazione della scuola. Questa cosiddetta “contaminazione” riguardava tutte le discipline ma in particolar modo la storia studiata in un’ottica molto ristretta. I libri di testo continuano ad essere sottoposti a un rigido controllo, così come le stesse case editrici più o meno compromesse con il regime. Nel 1939, il ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai, con la Carta della Scuola, intese dare una svolta sociale e istituzionale in linea con quanto auspicato dal Governo, basando la riforma su un diretto coinvolgimento dello scolaro nella vita politica; allontanando l’idealismo gentiliano e favorendo la politica del consenso. Un altro aspetto da sottolineare fu la militarizzazione della scuola italiana che prevedeva, sin dai primi anni delle elementari, anche delle ore di addestramento militare (la formula “libretto e moschetto” sembra rendere bene l’idea). Alcune materie venivano privilegiate a discapito di altre perché l’obiettivo della scuola fascista era quello di forgiare lo spirito degli studenti trasmettendo ideali patriottici con l’intento di piegarli al volere della patria.
Quando nel 1903 Giovanni Gentile ottenne l’autorizzazione alla libera docenza e l’incarico all’Università di Napoli, dando inizio al suo corso di lezioni con una prolusione destinata a fare la storia della filosofia: La rinascita dell’idealismo. Fu proprio durante quel corso di lezioni che iniziò la sua battaglia pro e contro la religione. A favore della religione quando essa esprimeva l’unità spirituale che era anche unità di tutti gli italiani sotto il credo cattolico; contro, quando la religione pretendeva di monopolizzare ogni aspetto della verità, sostituendosi alla filosofia nella coscienza degli uomini. Quando nel 1906 vinse il concorso per la cattedra di Storia della filosofia a Palermo, venne a contatto in maniera più diretta con la politica spiccia da cui si era tenuto filosoficamente lontano e distaccato fino a quel momenti. Gentile contrapponeva all’insegnamento scientifico "una scuola capace di ricostruire il mondo nella sua interezza e di ridare all’uomo il senso dell’unità spirituale. Auspicava una scuola "laica" in cui la filosofia occupasse tutto lo spazio che era appartenuto in passato alla religione". Tuttavia, nelle scuole elementari dove non era possibile insegnare la filosofia, per assicurare l’unità spirituale dell’insegnamento era necessario continuare ad insegnare religione. Negli anni immediatamente successivi gentil si smarca dall’insegnamento, cercando apertamente il confronto. Lo trova con Benedetto croce, con cui ha un serrato rapporto epistolare che durò molti anni. Anche Croce si espresse sulla totalità spirituale della guerra in un articolo del dicembre 1914, ma tale definizione in lui suonava come ammonimento, mentre in Gentile aveva assunto la parvenza di esortazione; da ciò scaturì una posizione fortemente neutralista di Croce e la convinzione in Gentile che la guerra fosse per l’Italia un obbligo morale, oltre che politico. Il confronto si trasformò in un quasi duello che culminò “con un articolo vetriolo” di Croce che confutava ogni asserzione gentiliana. Quell’articolo dadato 13 novembre del 1913 su La Voce di Prezzolini, ebbe un effetto scatenante. Questo scritto era na sorta di una lettera aperta a Gentile e alla scuola palermitana in cui venivano confutato apertamente l’idealismo attuale e contestava l’implicito tentativo di Gentile di fare del suo sistema filosofico il detentore della verità assoluta, respingendo tutti gli altri sistemi che fondandosi sulle distinzioni, erano ai suoi occhi astratti ed arbitrari. Ad un anno di distanza un altro scontro minò l’amicizia tra i due. In un articolo del 914, Croce si espresse sulla totalità spirituale della guerra, ma ne rilevò un ammonimento un articolo del dicembre 1914, mentre che per Gentile era più una sorta di esortazione. Da tutto ciò scaturì una posizione fortemente neutralista di Croce e la convinzione in Gentile che la guerra fosse per l’Italia un obbligo morale. Il sistema liberale esistente non avrebbe mai concesso la rivoluzione del sistema scolastico a cui Gentile aspirava; ecco perché il filosofo cominciò a cercare chi potesse abbracciare e realizzare le sue idee, perché convinto che l’Italia del dopoguerra avrebbe dovuto inaugurare un ordine nuovo in ogni settore ed in primis, in quello scolastico. Gentile divenne fascista, soprattutto perché vedeva in Mussolini l’artefice di un nuovo corso, l’unico uomo politico capace di ripudiare il passato ed accettare la sua riforma scolastica che tanto si diversificava dalla tradizione pedagogica italiana. Quindi accettò con entusiasmo nel 1922 l’incarico al ministero della Pubblica Istruzione e volle accanto a sé l’allievo e l’amico di sempre quel Lombardo Radice che accettò di assistere il suo maestro nel difficile incarico, non tralasciando, tuttavia, di dichiarare pubblicamente di non essere fascista. La Riforma ebbe successo dovuto inquadrata come era in un sistema politico stabile perché in fondo l’obiettivo era stato raggiunto e l’Italia mussoliniana aveva la sua scuola.