Il commercio sulla via del Sale

di Alessandro Claudio Giordano

 L’area del cuneese è circondata dalle montagne ed i valichi che hanno rappresentato nel tempo l’unica via per raggiungere la Francia ed il mare. Un passaggio fondamentale questo per collegare su una via commerciale due realtà storicamente così differenti.

La Via del Sale ha rappresentato per secoli un'antichissimo percorso che si snoda tra Piemonte, Francia e Liguria, dove un tempo i commercianti trasportavano proprio il sale dalla costa verso l'entroterra. In realtà la Via del Sale non è una sola, ma un reticolo di piccole deviazioni, di passaggi poco consueti spesso pericolosi e difficili. Sin dal tardo Medioevo la Via del Sale ad esempio era già conosciuta non troppo battuta da mercanti quanto piuttosto da contadini che transitavano di lì con i prodotti della loro campagna per acquistare sale ed… acciughe. Il commercio del sale era controllato e storicamente di gran pregio al punto di essere controllato e calmierato. Le cronache ci raccontano che furono probabilmente i contrabbandieri a portare le acciughe nel cuneese. In epoca medioevale c’era un fiorente mercato e commercio clandestino di sale. Per evitare sanzioni (e conseguenze anche peggiori), i contrabbandieri coprivano il sale contenuto in casse o botti con strati di acciughe. Con il tempo questa abitudine venne a perdersi tanto pregiate e apprezzate erano diventate le acciughe. Un tempo, chi commerciava sale, si trovava a dover pagare dazi pesantissimi, imposti dai Savoia, al momento dell’ingresso in Piemonte. Molti iniziarono di questi si trasformarono in piccoli contrabbandieri. Riempivano soltanto i fondi delle botti, e poi sotto del pesce per sfuggire cosi al controllo dei doganieri. Per comodità serviva un pesce piccolo, che coprisse bene tutti i buchi, dal basso costo e resistenti al trasporto: le acciughe erano perfette. Negli anni successivi e diremmo sino a fine Ottocento molti si dedicarono a questo commercio ed al confezionamento del prodotto, al punto di farlo diventare un mestiere: quello dell’acciugaio (in dialetto anciuè). Per il cuneese Val Maira rappresentò l’area di massima espansione. Sovente anche contadini e mercanti partivano dai paesini per raggiungere il savonese.

Qui, nel porto, venivano acquistati acciughe, merluzzo sotto sale, aringhe poi rivenduti nei paesini di montagna nel corso della stagione fredda. Sempre a piedi spesso accompagnati da animali da soma gli uomini si muovevano come vecchi “pendolari della montagna” attraverso sentieri e viottoli scoscesi oppure attraverso una più moderna, anche per l’epoca, via del Sale. Così le acciughe arrivarono nel cuneese solo per nascondere il sale? No. Il sale è uno straordinario conservante naturale. Se immaginiamo i lunghi viaggi invernali degli anciuè: senza sale, lo stoccafisso, le acciughe e le alici non sarebbero mai arrivate in buone condizioni in Piemonte, seppure con il clima rigido di un tempo. Il sale, per propria natura, ha due effetti sugli alimenti che conserva: aiuta a limitare la presenza di acqua al loro interno (asciugandoli) e previene la formazione di batteri. Importante è ricordare che questo commercio è stato una risorsa fondamentale per l’economia di un’intera area. E come tutte le realtà pedemontane e montane anche la Valle Maira ed i suoi abitanti hanno dovuto nei decenni adattare le proprie attività alle esigenze di una quotidianità sesso dura e difficile. Così con l’arrivo della stagione invernale, chi, ed erano i più, era costretto ad abbandonare casa, per andare a cercare lavoro se ne inventava uno che oggi diremmo abbastanza remunerativo. Era un’emigrazione differente nella forma da quelle più abituali. Stagionale e quindi di media durata e di media percorrenza.

Gli acciugai si accompagnavano con i “caruss“carretti, leggeri e resistenti, costruiti in valle e quasi tutti colorati d’azzurro. Era il vero e proprio “mezzo da lavoro” dell’acciugaio, con il quale andava raggiungeva il mare e poi andava di porta in porta, cercando di vendere il pesce. Spesso carichi all’inverosimile. La percorrenza media al mare era di poco più di cento chilometri e spesso questa piccola emigrazione aveva come unico obiettivo la possibilità di non gravare sull’economia delle famiglie che avevano perlopiù poche risorse e tanta tanta fame. Come detto gli “anciuè” in genere arrivavano al porto di Savona per acquistare le acciughe proveniente da Portogallo, Spagna, Algeria e Sicilia e successivamente giravano per tutto l’inverno per le pianure del Piemonte, Lombardia ed Emilia con i carretti carichi di acciughe, aringhe e merluzzo. Con le acciughe arrivano anche altri prodotti del mare: tra questi il merluzzo, che in valle identifica il baccalà sotto sale, che avrà la sua fortuna perché costa poco e nulla va sprecato: il sale era usato per minestre e zuppe. Poi in estate il ritorno in valle perché con il caldo era difficile conservare il pesce e a casa c’erano i lavori della campagna da svolgere e per i più anche quelli legati all’alpeggio. In una realtà in cui la povertà era la costante comune in molte borgate e paesi, questa sorta di imprenditorialità improvvisata e inconsapevole da la misura di com’era la società del tempo. A partire dall’ottocento gran parte della vallata patì fortemente la grande emigrazione quella verso la Francia o il Sud America. Così il mestiere dell’anciuè venne meno. Certo rimane curioso immaginare da come un mestiere così originale di sia sviluppato così tanto in borgate di montagna che poco avevano in comune con il mare ed ancor meno con le acciughe. Diremmo semplicemente che “…di necessità virtù”. Un’imprenditoria inconsapevole legata non ad progetto ma alla sopravvivenza in un contesto in cui la quotidianità di “vita grama”.