A cosa giochiamo davvero quando giochiamo di ruolo?

di Piero Giuseppe  Goletto

Il pretesto per questo articolo è dato dall’uscita della nuova edizione italiana del più famoso gioco di ruolo, cosa che ci offre l’opportunità di una riflessione. Intanto: a che gioco giochiamo quando parliamo di “giochi di ruolo”?

Lasciando da parte per un attimo il tema dei meccanismi, che è troppo specifico e tecnico rispetto all’obiettivo di questo articolo, il gioco di ruolo consiste nel fatto che alcune persone, riunite intorno a un tavolo, creano e interpretano dei personaggi che sono inseriti in un’avventura, sotto la guida di un master/narratore.

L’origine del gioco di ruolo è da ricercarsi, in parte, nel Kriegspiel del 1811: si tratta di un wargame in cui vigeva la regola che gli esiti dei combattimenti erano decisi in base al lancio dei dadi. Il dado a 20 facce è il simbolo dei giochi in stile Dungeons and Dragons.

Il gioco di ruolo non nasceva però nel vuoto. Negli Stati Uniti degli anni ’60 e ’70 operavano alcuni gruppi che erano interessati a giochi multigiocatore, dove a ciascun partecipante erano attribuiti obiettivi e abilità differenziati e gli era richiesto di assumere a tutti gli effetti il ruolo di un personaggio.

Radice narrativa del gioco di ruolo è invece l’opera di J. R. R. Tolkien. Dungeons and Dragons è importante certo per il suo successo mondiale; ma anche perché è il primo gioco di ruolo a comparire sul mercato.

Gary Gygax e Dave Arneson, che ne sono gli ideatori, comprendono molto bene l’importanza di disporre di un mondo che ha una storia e una geografia coerenti e logiche, benché immaginarie, alle spalle.

Il gioco di ruolo si basa sulla fondamentale idea che l’azione dei giocatori è inserita in un’ambientazione e una storia preesistenti, senza le quali semplicemente non ha senso.  

Le ambientazioni spesso denunciano le proprie origini letterarie o cinematografiche. Ad esempio, esistono giochi di ruolo contestualizzati nell’universo di Howard Phillips Lovecraft (“Il Richiamo di Chtulhu”), così come nell’universo di Tolkien, in Cyberpunk, nel mondo dell’inquisitore Eymerich, nel mondo di tenebra dei Vampiri, nel mondo postatomico di Fallout e tanti altri.

In «The Ultimate Video Game Writing and Design» Flint Dille e John Zuur Platten osservano che con i giochi di ruolo «il gioco non consiste più nel muovere figure in miniatura su un tavoliere bensì muovere interi mondi nel proprio cervello. Il gioco di ruolo è interpretare chi non si è in un  mondo che non esiste nella realtà pratica di tutti i giorni ma esiste in una realtà consensuale in cui avviene il gioco. »  (...) E’ il “facciamo che ero” dei bambini portato nel mondo adulto, dove ogni partecipante è autore e attore all’interno del contesto di gioco; è scrivere da sé un film ed esserne l’attore protagonista. Non è poco.

“Autore” e “Attore” sono vocaboli molto pertinenti, specie se la narrazione e l’interpretazione nel contesto del gioco diventano preminenti.

L’evoluzione di taluni giochi di ruolo, infatti, mette l’accento sull’interpretazione del personaggio, cosa che richiede a monte la formulazione della sua biografia e delle sue motivazioni.

Essenziali, quindi, sono l’interazione tra i giocatori e la narrazione di una storia.

Quest’ultimo aspetto è essenziale e ci è d’aiuto nello sviluppare il nostro discorso il bellissimo libro “The Creation of Narrative in Tabletop Role-Playing Games” di Jennifer Grouling Cover, di cui riassumiamo alcune parti.

Nel gioco di ruolo l’interattività ha una struttura che dipende completamente dalle specifiche regole e dalla costruzione della campagna. In ogni gioco di ruolo, il master/narratore descrive agli altri giocatori cosa sta accadendo, il luogo in cui i personaggi si trovano, le vicende che li vedono coinvolti e, di volta in volta, si cala nei panni dei personaggi comprimari o degli antagonisti che gli eroi vanno ad incontrare ed è l’arbitro del gioco.

Spesso le campagne sono organizzate in avventure, ciascuna delle quali è strutturata in fasi di esplorazione e in incontri: combattere un mostro o parlare con un personaggio non giocante per ottenere informazioni o indicazioni.

Questi incontri possono avvenire in più momenti dell’avventura. E’ anche possibile che uno o più personaggi facciano scelte diverse all’interno delle opzioni possibili in una data fase, in special modo se un personaggio presenta specifiche caratteristiche o se l’avventura presenta delle sottotrame che riguardano una parte dei personaggi facenti parte del gruppo di avventurieri.

Ricordiamo che lo scopo del gioco di ruolo è pervenire a una conclusione soddisfacente dell’avventura, che può prevedere diversi esiti, alcuni dei quali insoddisfacenti (es. uno o più personaggi vengono uccisi) e quindi “vincere le avversità”.

La cooperazione tra i giocatori è indispensabile perché tale “conclusione soddisfacente” richiede che il gruppo di avventurieri coinvolga personaggi con capacità e caratteristiche personali diversificate.

L’aspetto narrativo riguarda in primo luogo lo sviluppo delle motivazioni dei personaggi e la loro azione all’interno della storia e dell’ambientazione.

L’azione è descritta dal master/narratore e dai giocatori, basandosi sulle regole del gioco, sull’ambientazione e sulle regole della campagna. Master/narratore e giocatori esplorano sì uno spazio, ma interagiscono tra loro tant’è che il master/narratore può dover adattare la sua linea narrativa alla situazione in atto.

Qual è la linea narrativa? Ogni ambientazione è costruita in modo da offrire il potenziale per molteplici storie. Il master/narratore, nel corso di un’avventura, ne presenta una parte, che può essere continuamente modificata dall’interazione coi giocatori.

Questo è rilevante perché alcuni giochi sono essenzialmente giochi di narrazione (ad esempio: Vampiri, La Masquerade). Narrazione di cui i giocatori sono simultaneamente autori e fruitori.