di Alessandro Claudio Giordano
Nella ricorrenza del cinquantesimo anniversario della sua scomparsa era doveroso un tributo alla figura di Ennio Flaviano giornalista, critico teatrale e cinematografico, per il Mondo di Pannunzio, il Corriere della Sera, l’Europeo, L’Espresso, ed altre testate, oltre che sceneggiatore di alcuni fra i più importanti film del dopoguerra.
Flaviano collaborò con Federico Fellini, per la sceneggiatura de Lo sceicco bianco, Le notti di Cabiria, I vitelloni, La dolce vita, Otto e mezzo, Giulietta degli spiriti, autentici capolavori della settima arte, ma anche per altri grandi registi quali Lattuada, Monicelli, Steno, Blasetti, Rossellini, Risi, Antonioni, Germi, Petri, Zampa, Ferreri, Montaldo e molti altri ancora. Moralista fece anche satira grottesca consegnando al pubblico denunce sugli aspetti più paradossali della realtà contemporanea: Tempo di uccidere (1947, premio Strega), Una e una notte (1959), Il gioco e il massacro (1970), Le ombre bianche (1972), Autobiografia del blu di Prussia (postumo, 1974), Diario degli errori (postumo, 1977). Toni analoghi hanno i suoi testi teatrali: La guerra spiegata ai poveri (1946), La donna nell’armadio (1958), Un marziano a Roma e altre farse (1971).. “…appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L'età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni. Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicarci le cause, io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri: perché quasi tutti hanno una soluzione da proporci: la loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi...” Ci manca Flaiano. Manca in questi tempi che hanno tanto di incertezza e provvisorietà. In un momento tra crisi globali e perdite d'identità, tra opportunismi e nuove barbarie, ma manca soprattutto agli italiani, un popolo ingegnoso e disincantato, forse troppo, tanto da scambiare ancora spesso la furbizia per intelligenza. Parlare di Ennio Flaiano è come raccontare l'Italia e gli italiani nelle loro tante sfaccettature. La sua opera predilige le forme brevi, ma non tralascia il romanzo, il racconto lungo, la commedia, e propone frequenti passaggi dall’elzeviro alla sceneggiatura per il cinema, dalla lirica all’epigramma satirico, dalla critica cinematografica e teatrale al diario intimo. Tutte le sue opere formano un mosaico fortemente rappresentativo di gran parte del Novecento e offrono una lezione di indipendenza intellettuale, una visione antiretorica della vita e un ritratto satirico ancora molto attuale dei mali del nostro Paese. Per molti, notava Flaiano, l’italiana non è una nazionalità ma una professione. Caustico stigmatizzatore degli aspetti paradossali della realtà italiana, Flaiano si potrebbe definire un moralista disilluso che sfoga i suoi umori e malumori attraverso una vena satirica e un acuto senso del grottesco.
Ma che cos’è, esattamente, Flaiano, o meglio che cosa non è? Egli sfugge ad ogni categoria, pur percorrendo della categoria dello scrivere tutti o quasi i generi, ma sempre a suo modo, con la nonchalance di chi non si prende troppo sul serio e con l’irriverenza verso gli altri che si prendono fin troppo sul serio. “In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti”. Ma dietro alla volontà di fustigare i vizi, le arroganze e le illusioni della scena italiana, si avverte in Flaiano l’amore per il suo lavoro, forse una fede inconfessata di fornire un contributo verso una nuova aurora per le sorti del nostro Paese. Si potrebbe quindi attribuire a lui stesso il giudizio ch’egli diede del film La dolce vita di Fellini citando Vincenzo Cardarelli: “La morale del film potrebbe essere riassunta con due versi di Cardarelli: “La speranza è nell’opera. / Io sono un cinico che ha fede in quel che fa”. Ci sarebbe bisogno oggi non di uno, ma di tanti Flaviano. Invece ci troviamo con molti scrittori e uomini dell’informazione senza spirito critico, i più asserviti al potere con cui condividono percorsi, limiti ed aspirazioni in un’Italietta la cui unicà pretesa richiesta è di recitare rispoetto a cliquè prestabiliti.